lunedì 20 dicembre 2010

Mediocrazia


Viviamo in un'epoca pericolosa. Passiamo dieci ore al giorno davanti a uno schermo che definire una finestra sul mondo sarebbe un ridicolo eufemismo.
La televisione, quella sì era una finestra sul mondo. Certo, potevi scegliere il canale, e quindi il punto di vista dal quale guardare il mondo, ma il mondo era quello e basta. Se proprio non ne potevi più, spegnevi lo scatolone e ti leggevi un libro in pantofole accanto al caminetto. Ma tanto il mondo andava avanti là fuori per conto suo, sapendo che prima o poi saresti tornato a sbirciarlo.
E però, senza che quasi ce ne accorgessimo, la televisione da qualche anno a questa parte si è dissolta in qualcos'altro, senza dirci nulla. Qualcos'altro che non è più una semplice finestra sul mondo, ma una finestra su un universo di infiniti mondi possibili. Personalizzabili, full optional, chiavi in mano. Il telecomando si è suicidato e ha lasciato il suo posto in eredità alla tastiera. Come dire: fai te, adesso sei tu il padrone, non devi più limitarti a scegliere un percorso predefinito, puoi costruirtelo direttamente. E sarà tuo e soltanto tuo.

Insomma, una bella responsabilità. Perché la democrazia può essere davvero molto pericolosa, se finisce nelle mani di chi non ha gli strumenti culturali per dominarla. E soprattutto, per capire quanto vale. Ci vuole una certa sensibilità per tuffarsi in un pastone in cui loro malgrado coabitano Dante e Moana Pozzi, Baudelaire e Umberto Smaila, George Orwell e la Endemol, l'Osservatore Romano e YouPorn, Cicerone e Francesco Totti, Keith Jarrett e Giovanni Allevi, il Dalai Lama e Paolo Bonolis, Garcia Lorca e i Modà, senza perdere l'orientamento. Un po' di sensibilità culturale, semplicemente. E magari anche più di un po', si spera.
Il problema è che chi è cresciuto a pane e Bagaglino questa sensibilità potrebbe davvero non averla. Peggio, potrebbe addirittura non volerla avere. Perché è faticosa, da conquistare e da mantenere. Meglio delegare a qualcun altro che faccia la fatica al posto nostro, qualcuno che selezioni per noi il meglio e ce lo faccia trovare a disposizione compattato in un format da 4o minuti (più 20 di sacrosanta pubblicità), da ascoltare in streaming o scaricare in podcast su iTunes. Non importa chi lo prepara, basta che dentro ci sia un po' di cultura pret a porter, premasticata e ad alta digeribilità.

C'è qualcuno, capace ed onesto, che questa cosa sa farla in maniera coscienziosa, riuscendo nel piccolo miracolo di raccontare, ad esempio, un pezzetto di risorgimento italiano in tre quarti d'ora, senza tralasciare nulla di rilevante, senza banalizzare, e perché no, senza nemmeno annoiare.
C'è però anche qualche impostore che, puntuale come un esattore delle tasse svizzero, approfitta della situazione per smerciare sottobanco cultura contraffatta. Un brano di Saramago pasticciato con la sigla dei Puffi. Un Notturno di Chopin allungato al brodo di Taricone, pace all'anima sua. Un aforisma di Oscar Wilde che introduce Lady GaGa. Tutto all'insegna di una gioiosa e spregiudicata contaminazione pop. Cultura facile e a prezzi modici, così ognuno può procurarsi la sua dose di saggezza a buon mercato e sentirsi in pace con la coscienza. E anzi, si sentirà in diritto di spargere il nuovo verbo plug&play pasticciando email grondanti pseudosaggezza da inviare agli amici, o magari postando un aforisma di Voltaire su Facebook per commemorare la prematura scomparsa del criceto.
Ma la cultura così arriva a tutti, diranno gli entusiasti, chi ascolta Lady GaGa conoscerà Oscar Wilde, i fan dei Puffi potranno innamorarsi di Saramago, i nostalgici di Taricone lo ricorderanno sulle note di Chopin. Ma quanti di loro sapranno riconoscerla, ed apprezzarla per quel che è, questa benedetta cultura? L'aforisma di Wilde diventerà una frasetta simpatica, il brano di Saramago un pezzo di un libro fico scritto da boh non mi ricordo chi, il Notturno di Chopin una musichetta carina per ricordare il povero Pietro. Allo stesso modo in cui la musica di Via col vento ha condotto, nell'immaginario collettivo, all'orrida trasformazione di Rossella O'Hara in Bruno Vespa, e così come il Grande Fratello, eminenza grigia della più lucida e al tempo stesso visionaria distopia della letteratura contemporanea, è diventato ormai il patrono di un'orgia patinata da prima serata.

Pare strano a dirsi, eppure l'eccesso di democrazia, se finisce in mani sbagliate, non fa altro che svilire la cultura, trascinandola inesorabilmente in un meschino ristagno di mediocrità.
Col risultato, inquietante, che anche la democrazia perde di valore, e diventa democrazia mediocre. O, se preferite, mediocrazia.

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