lunedì 10 dicembre 2007

10 cose da fare assolutamente appena tornato a Roma

1) Lettura integrale dell'ultima Gazzetta dello Sport fresca di stampa, inclusa la pagina dell'ippica;
2) Un cappuccino come si deve di primo mattino a stomaco vuoto, accompagnato da un cornetto alla Nutella;
3) Tre giri completi del raccordo;
4) 40 minuti di slap bass selvaggio durante la pennichella del vicino;
5) Visione integrale del TG4 pomeridiano;
6) Biliardata assassina in notturna al meglio dei 9 incontri, rigorosamente all'italiana;
7) Una Quattro Stagioni formato famiglia a domicilio con supplì, crocchetta, filetto di baccalà e 6 olive ascolane;
8) Tombolata infame con gli amici più stretti, con a seguire Mercante in fiera, Sette e mezzo e Trivial Pursuit;
9) Shopping suicida in Via del Corso il pomeriggio della vigilia;
10) Tripla bomba al nocciolatte alle 4 del mattino da "La Dolce Notte".

venerdì 30 novembre 2007

La questione olandese - Breve saggio di sociologia interculturale

Tra la moltitudine di popoli in cui ho avuto occasione di imbattermi, gli olandesi certamente hanno delle caratteristiche che li rendono davvero particolari.
Diversamente, ad esempio, dagli spagnoli, perennemente in isterica oscillazione tra chiassosa festosità e noiosa apatia, dai francesi, pedantemente stilosi e acidamente leali, dai tedeschi, fieramente autoreferenziali ma tendenzialmente aperti e rispettosi, dagli italiani, ridondanti di sé stessi eppure solitamente generosi oltre il dovuto, gli olandesi sembrano sposare, almeno a prima vista, quella certa riservatezza tipicamente continentale con un'insospettabile affabilità, derivante probabilmente dal loro essere, in fin dei conti, un popolo di mare.
Sofisticati ma alla mano, se si volesse cercare di descriverli in poche parole.

Tuttavia, come tutte le prime impressioni anche questa finisce presto col rivelarsi, se non errata, per lo meno alquanto incompleta.
Perché in effetti quando si parla di olandesi si corre il rischio di generalizzare, mentre invece è di vitale importanza distinguere tra GLI olandesi e LE olandesi.



GLI olandesi sono generalmente delle persone di notevole fiducia. Contrariamente al pregiudizo comune, sono persone assai discrete e rispettose degli spazi ma comunque generose e disposte ad aiutare se viene richiesto il loro supporto. Forse poco inclini ad organizzare eventi e situazioni in prima persona, essi si lasciano comunque coinvolgere ben volentieri in iniziative altrui e risultano di solito di buona compagnia. Generalmente persone educate e con le quali è relativamente facile condividere gli spazi, talvolta sorprendono persino con piccole premure e gentilezze gradite. Il fatto di vivere in un paese piccino e piuttosto avanzato sul piano organizzativo e gestionale, per di più collocato nel cuore dell'Europa, li rende persone scevre da pregiudizi macroscopici e discreti fautori di un costruttivo europeismo.
Tutto questo, precisando che si tratta comunque di impressioni personali raccolte su un numero alquanto esiguo di olandesi, li rende di fatto persone piuttosto gradevoli, con alcune delle quali non è un'esagerazione scomodare il termine "amicizia".

LE olandesi si presentano in maniera davvero simile. Il primo impatto è, solitamente, una piacevole chiacchierata di una ventina di minuti che si conclude in maniera molto amichevole, magari con i due famosi bacetti sulle guance che in Olanda indicano più intimità che in Italia, dove di solito due bacetti non si rifiutano neanche ad una persona conosciuta la sera stessa.
Se però una mattina incontrate all'università quella graziosa olandesina con cui la sera prima durante la festa avete chiacchierato e ridacchiato in maniera sincera e spensierata e vi avvicinate sorridendo per salutarla con i due famosi bacetti che in Italia, come si è detto, non si rifiutano mai, vi accorgerete che lei resterà impalata scoraggiando il vostro tentativo, vi saluterà distrattamente e continuerà a fare quello che stava facendo prima, apparentemente del tutto disinteressata ad avviare la benché minima conversazione.
Allo stesso modo è perfettamente possibile che, durante un'altra festa, essa non vi risponda minimamente quando le passate davanti salutandola cordialmente, ma mezzora dopo venga a darvi un sensuale bacio, sulla guancia ovviamente, perché avete appena messo la sua canzone preferita (che di solito è un orribile brano techno-house in tedesco). In pratica è come se essa mostrasse, alternativamente ed imprevedibilmente, due volti completamente opposti, l'uno affabile ed amichevole, l'altro scostante ed altezzoso.

Dopo un'approfondita analisi sociologica posso affermare con certezza che questo singolare comportamento è da ritenersi tipico della donna olandese, e solo suo, in quanto riscontrato in tutte, ma proprio tutte, le olandesi che ho conosciuto e, viceversa, in nessun'altra donna che non sia olandese.
La motivazione di tale bizzarro comportamento deriva semplicemente dal fatto che le olandesi, di base, se la tirano come più non si potrebbe.
Ed hanno di che tirarsela. Altroché. Il destino beffardo ha voluto schiaffare tutte le migliori olandesi in un edificio collocato all'esatto capo opposto della città rispetto al campus, situazione che rende il contatto con esse ristretto praticamente ai soli esclusivi party organizzati, di solito, una volta a settimana. Tacitamente, si ritiene riuscito il party organizzato al campus se vi prende parte anche la compilation di bellezze oranje al completo: vuol dire che il tema della serata era abbastanza accattivante da invogliarle ad attraversare tutta la città per parteciparvi, anziché spostarsi di appena un paio di chilometri per andare in una discoteca in centro. Se questo non accade, si ha sempre di sottofondo la sgradevole sensazione che la festa non sia perfettamente riuscita.

Se si considera che, oltre ad essere davvero affascinanti, queste donne sono anche grandi bevitrici (non vedrete mai un'olandese ad una festa senza una lattina di birra in mano), è facile arrivare alla conclusione che almeno mezza Europa, nel vero senso della parola, ci proverà con qualcuna di loro durante la serata.
Infastidite e lusingate allo stesso tempo, queste graziose fanciulle si divertiranno nel lanciare segnali contraddittori ai malcapitati che ronzeranno loro intorno, mostrandosi per l'appunto prima affabili e poi scostanti. La loro viscerale diffidenza le porterà ad evitare accuratamente il maschio mediterraneo: e così, una volta relegato il povero italiano nell'angolo della stanza a fare il DJ in una sorta di amaro "promoveatur ut amoveatur" ed evitato come la peste il marpione iberico di turno, rivolgeranno le movenze sexy del loro bacino all'indirizzo di etnie continentali.

Nulla ha fatto notizia, Venerdì scorso, come il bacio in mezzo alla pista di una di loro (deliziosa bionda alta 1.80, tipico esempio di bellezza oranje) con il tedesco di turno: respiri trattenuti, stupore diffuso e persino diverse foto scattate per immortalare la scena, giacché pochi sapevano che era da poco tornata single.
La novità getta un certo scompiglio; non stupisce quindi che, l'altro ieri, in occasione di una festicciola infrasettimanale, sia partito l'approccio esplicito da parte di un francese, peraltro con metodologie alquanto innovative che vale la pena di analizzare dettagliatamente.

Com'è noto, alle olandesi piace bere, e non poco. Il francese decide di sfruttare questo potenziale punto debole per rendere più vulnerabili le reticenze della stangona, e le propone subito un'intrigante scommessa: chi fa prima a bere un bicchiere di vino rosso tutto d'un fiato è autorizzato a dare 10 ceffoni all'altro, come e quando vorrà. Va detto, per dovere di cronaca, che il vino in questione era il famigerato Castillo De Gredos, micidiale vino spagnolo in cartone tragicamente simile, per sapore e retrogusto, ad una partita di aceto scaduto vecchia di 13 anni, fattore che aumenta ulteriormente la difficoltà della sfida. La competizione termina al fotofinish, con vittoria finale assegnata d'ufficio all'olandese, che si riserva il diritto di schiaffeggiare l'avversario in un secondo momento.
Ormai ubriachi fradici, i due iniziano ad inseguirsi per tutto il corridoio tirandosi pezzi di torta all'ananas (il che è un bene, perché la torta in questione è davvero immangiabile, malgrado sia senz'altro eticamente discutibile il fatto di giocare con del cibo), peraltro assiduamente ripresi dal sottoscritto in uno dei video più significativi da quando si trova qui.
Terminate le ostilità non senza danni (lui ha inalato ananas attraverso le narici, lei ha crema ovunque nei capelli), il francese decide bene di rinfrancarsi con una banana ristoratrice.

Scatta subito la nuova sfida: se lui non mangerà anche tutta la buccia (!), lei potrà dargli altri 10 schiaffoni. Lui ci pensa un po' e rilancia: se mangerà la buccia potrà baciarla 10 volte. Lei accetta, a condizione che mangi la buccia in soli 3 bocconi.
Lui ci pensa ancora un po', e alla fine cade nella trappola: mangia tutta la buccia senza fare una piega.
Tralasciando il fatto che una buccia di banana è probabilmente uno dei cibi meno salutari che ci siano (vuoi per la composizione della stessa, vuoi per la collezione pressoché completa di microbi e batteri che la popolano), la buccia di banana, per fortuna almeno priva di picciolo, ha un impatto devastante sullo stomaco del transalpino, che passa almeno mezzora a ingurgitare acqua per facilitarne l'assimilazione, arrivando quasi a rischiare la squalifica da parte dell'inflessibile olandese.
Quando di lì a poco quest'ultima, conclusa la festa, infila il cappotto per tornare a casa, con le residue forze lui si presenta boccheggiando per reclamare il primo dei baci pattuiti. Lei acconsente, e i due si lanciano in un'appassionata slinguazzata internazionale davanti agli occhi meravigliati degli astanti, che in fondo non credevano sarebbe successo veramente.

L'indomani, cioè ieri sera, ci si ritrova tutti felicemente in discoteca, poiché come saprete il Giovedì gli studenti entrano gratis: mancano però proprio loro, le olandesi, che poche ore dopo partiranno alla volta di Helsinki. Soltanto lei, di ritorno dallo stadio dell'hockey, passa a fare un saluto rapido, senza neanche togliersi la giacca.
Come da copione, lui si avvicina per salutarla.
Come da copione, lei lo tratta con sufficienza e quasi non gli rivolge la parola. Di baci, neanche a parlarne. Di lì a poco se ne torna a casa.
A questo punto lui, sempre più disorientato, pensa bene di mandarle un messaggio ma si sbaglia e, per un assai oscuro motivo, lo manda a me (!). Il messaggio recita: "Hey, mi dispiace che sei andata via. Fai buon viaggio in Finlandia. Un bacio" (NdA: il testo è stato tradotto dall'inglese per facilitarne la comprensione al lettore medio).
Senza dubbio il peggior messaggio da mandare in una situazione del genere, più che mai se lei è olandese.

Chiaramente, per correttezza l'ho avvisato dell'errore riguardo all'invio del messaggio. Non ci è dato sapere, per il momento, come andrà avanti questa storia.
Quasi sicuramente, però, lui si starà ancora riprendendo dall'intossicazione alimentare, e quasi sicuramente quel bacio galeotto avrà scatenato in lui un temporale ormonale che lo porterà a svendere nuovamente la sua dignità di uomo non appena si presenterà l'occasione.
Lei invece con tutta probabilità se ne starà ora spaparanzata in una camera d'albergo finlandese a ridere a crepapelle con le altre olandesi di quel deficiente che due sere prima pur di baciarla si è mangiato un'intera buccia di banana.
Cornuto e mazziato.

giovedì 15 novembre 2007

Questa pazza, pazza Danimarca...

Per uno strano scherzo del destino, malgrado il nostro italiano si trovi in Svezia da tre mesi, le vicende della sua ultima settimana sono legate a doppio filo alla Danimarca. Andiamo con ordine.


E' ormai tempo di ritorni, i primi. La settimana scorsa la truppa degli italiani si è ridotta da 4 a 3 unità, a causa del rientro nel Belpaese di una campobassana che aveva giustappunto finito la parte estera della sua tesi. La settimana attuale invece è l'ultima per l'unico croato della situazione, il quale pensa bene di invitare i tre italiani superstiti a trascorrere un commovente weekend d'addio in quel di Copenhagen. E così, pronti via, i quattro affittano una Fiesta e se ne partono bel belli alla volta del regno di Margherita II.
Il viaggio si articola in quattro tappe: Karlstad-Goteborg (guida l'altro italiano); pasto frugale; Goteborg-Helsingborg (guida il croato); Helsingborg-Helsingor, a bordo di un costosissimo traghetto. L'ultima tappa, Helsingor-Copenhagen in notturna, tocca giustappunto al nostro italiano, poiché a causa di una presunta discriminazione sessista verrà difatto impedito all'unica ragazza presente di guidare durante il viaggio di andata.

Dopo aver fatto infuriare come un caimano il danese che regola il traffico in uscita dal traghetto con una manovra errata ma in fondo innocua, il nostro si ritrova alle prese con una sensazione stranissima: quella di guidare, dopo più di un mese dall'ultima volta, una macchina che non conosce affatto, in un paese in cui non è mai stato prima, senza sapere nemmeno dove andare di preciso.
Eh già, perché a causa di un inspiegabile malinteso i quattro furbacchioni si sono in pratica dimenticati di prenotare un posto dove dormire. In mancanza di una meta precisa, si decide di tirare dritto per dritto fino a quando non si incontrerà un ufficio informazioni per turisti.
La strategia ovviamente è totalmente folle, e difatti non stupisce che i quattro vaghino assolutamente a caso per la città per almeno una mezzora buona, prima di trovare finalmente, e assolutamente fortuitamente, l'agognato ufficio turistico. Che è ovviamente chiuso, visto che dopo le sei del pomeriggio qualsiasi forma di attività in Scandinavia si paralizza improrogabilmente.
Le peregrinazioni riprendono finché grazie al cielo i quattro si imbattono in un maestoso (e costosissimo) ostello, che ha almeno il pregio di essere in pieno centro.
La serata prevede un tour gastronomico per fast food (Burger King e KFC, per la precisione) e una furtiva passeggiata per il centro, prima che il torpore sopraggiunga ed i quattro amici decidano unanimemente di buttarsi sotto le pezze.

L'indomani, alzatisi di buon'ora, li attende la colazione più costosa della loro vita: circa 7 €uro per un cappuccino ed un fagottino al cioccolato. A quanto pare esiste al mondo un paese al cui confronto anche la costosa Svezia sembra avere prezzi stracciati: si chiama Danimarca.
Il Sabato consiste, ovviamente, in una micidiale passeggiata per il centro della città, stupenda e zeppa di meraviglie architettoniche, con una doverosa visita al monumento più sopravvalutato d'Europa: la statua della Sirenetta.


Sarà che i nostri sono abituati ad essere circondati ogni giorno da un patrimonio artistico che non ha eguali al mondo, ma resta davvero difficile capire come mai il simbolo di una città bellissima e ricca di edifici magnifici sia una piccola statua di bronzo, neanche troppo raffinata, per di più collocata in una zona relativamente decentrata della città.
A pranzo i quattro optano per un ristorantino italiano affacciato sul graziosissimo porto della città, ma appena seduti e aperto il menù scoprono con orrore che i prezzi sono davvero troppo, troppo alti. Mettendo da parte ogni minimo residuo di educazione decidono semplicemente di fuggire, per fortuna non visti dal proprietario. Si rifugeranno in una tipica trattoria danese poco distante per un pranzo a base di pesce, comunque costosetto.

Il pomeriggio prevede la visita alla famigerata Christiania, il controverso quartiere hippy di Copenhagen. Volendo trovare un paragone, si potrebbe azzardare che grossomodo Christiania sta a Copenhagen come lo scalo San Lorenzo sta a Roma: si tratta cioè esattamente del tipico quartiere che il nostro italiano detesta spontaneamente con tutto il cuore.
Dopo una sosta tattica, che farà da spunto per due ore di pennichella a quattro di spade sul letto, i nostri eroi tornano in azione per una nuova passeggiata serale.
La cena è caratterizzata da una curiosa sensazione di deja-vu: adocchiato un invitante ristorante cinese, i nostri entrano, scelgono il tavolo migliore, aprono il menu, si accorgono che i prezzi sono ancora più alti di quelli del ristorante italiano e, senza fare una piega, si alzano e se ne vanno, sotto lo sguardo incredulo del personale. Due volte nello stesso giorno, incredibile ma vero.
La Domenica è caratterizzata da un paio di delusioni: dopo aver sfamato le papere del laghetto con del Toblerone (in mancanza d'altro...), i nostri provano prima a dedicarsi invano allo shopping nel caratteristico quartiere di Norrebro, dove ovviamente tutti i negozi sono chiusi, poi ad andare a vedere il celebre ponte di Malmo. Ma la strada non si trova, e alla fine spazientiti decidono di mettersi in marcia per tornare a Karlstad.
Al nostro italiano Copenhagen è proprio piaciuta, ed anzi ad occhio e croce si direbbe proprio che la Danimarca abbia qualcosa in più della Svezia, almeno esteticamente parlando.

Tornato alle ordinarie incombenze dopo la microvacanza, il nostro italiano è atteso dalla prima relazione per il nuovo corso che sta seguendo, "Sweden and Scandinavia in a European perspective". Si tratta di rispondere a tre quesiti riguardanti il rapporto tra i paesi del Nord Europa e l'Unione Europea.
La prima domanda è una riflessione personale sulla compatibilità tra UE ed il controverso Consiglio Nordico, consorzio internazionale attivo dal 1952 di cui fanno parte Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia ed Islanda. Non osava sperare di meglio: da europeista convinto quale è, si lancia in un accorato pamphlet di tre pagine incentrato sulla necessità che Norvegia ed Islanda entrino nell'Unione Europea.
La seconda domanda riguarda la presunta fine e possibili ipotesi per la sopravvivenza del Consiglio Nordico all'indomani, o forse ormai dopodomani, della fine della Guerra Fredda. Fattibile.
Ma è la terza domanda che ha dell'agghiacciante. E' richiesta una valutazione della politica estera nel biennio 2005/2006 indovinate di chi?
Della Danimarca. Ovvio.

Il nostro è perplesso. Non è ovviamente un esperto di politica internazionale, e malgrado abbia letto con attenzione ed interesse tutte le letture assegnate non ha molte idee in proposito. Ma gli sono rimaste solo un paio d'ore di tempo per terminare la relazione prima che inizi la lezione.
Così scatta l' "operazione creatività". Poiché sembra francamente impossibile applicare i modelli teorici studiati alla situazione da analizzare, si procede con il cercare di interpretare i fatti nella maniera più innovativa possibile, nella speranza di avvicinarsi a dire qualcosa di almeno parzialmente plausibile.
Così, partendo dallo spunto che la Danimarca è contemporanemante membro di ONU, NATO, Unione Europea e Consiglio Nordico (in pratica tutto ciò di cui può essere membro), tutte le azioni di politica estera danese vengono interpretate dal nostro italiano come un tentativo di mantenersi in equilibrio tra i ruoli molto diversi attesi dalla partecipazione a queste quattro associazioni che, com'è noto, hanno spesso interessi contrastanti.
In quest'ottica, il celebre incidente diplomatico con il mondo islamico avvenuto nel Settembre 2005 a causa della vignette offensive su Maometto sarebbe da interpretare come l'inevitabile prezzo che la Danimarca ha dovuto pagare per aver cercato di tenere il piede in 4 staffe contemporaneamente.
Tanto basta per arrivare a stiracchiare una paginetta di risposta.
E poi chissà, magari qualcosa di plausibile c'è davvero!

mercoledì 7 novembre 2007

(S)HIT PARADE: le 10 cose più stupide che ho fatto da quando sono in Svezia

1) Aver offerto da bere ad una fiamminga (chiaramente non mi riferisco ad un vassoio, ma ad una donna);
2) Aver ordinato ingenuamente il primo giorno un caffè senza sapere che la mia idea di caffè era tragicamente molto, molto diversa da quella degli svedesi;
3) Aver cantato "La società dei Magnaccioni" a squarciagola durante la serata inaugurale dell'Erasmus, in rappresentanza della tradizione musicale nostrana;
4) Aver cercato senza successo di ubriacarmi bevendo un'intera bottiglia di Baileys in poco più di un'ora (le cause dell'insuccesso rimangono avvolte nel più assoluto mistero);
5) Aver tenuto il computer acceso per oltre 72 ore consecutive al solo fine di scaricare tutte le serie dei Simpson;
6) Aver dato un fazzoletto con sopra scritto il mio numero sempre alla fiamminga (la quale dichiarerà in seguito di non sapere che fine abbia fatto quel fazzoletto);
7) Aver passato una notte in bianco per un innocuo halva gruppen;
8) Aver organizzato la Coppa del Mondo di Pro Evolution Soccer 6, mandando una mail informativa a tutti e 170 gli studenti stranieri;
9) Aver invitato a cena una tedesca già impegnata con uno svedese;
10) Aver prenotato l'andata con RyanAir.

lunedì 15 ottobre 2007

L'incredibile favola di Steven Bradbury

Le Olimpiadi Invernali di Salt Lake City 2002 furono le terze ed ultime per Steven Bradbury, misconosciuto pattinatore australiano, ventinovenne e quindi ormai anzianotto, che in dodici anni di carriera aveva centrato solo un terzo posto nella staffetta 5000m ai giochi di Lillehammer '94, e poco più. Un palmares scarno, che in otto anni lo aveva lentamente trasformato da grande promessa dello short track ad outsider, stimato e rispettato, ma pur sempre outsider, destinato quindi a chiudere la carriera con l'ultima onorevole presenza ai Giochi.

Non c'è da meravigliarsi quindi che il pronostico lo desse per sfavorito già ai quarti di finale. E così fu: Bradbury agguantò il terzo posto all'ultima curva, però solo i primi due passavano il turno.
Ma evidentemente quello era il suo giorno fortunato: il canadese Marc Gagnon, giunto primo, venne squalificato per una scorrettezza e Bradbury ripescato d'ufficio per le semifinali. Ancora non sapeva che i suoi giorni più fortunati dovevano ancora arrivare.

In semifinale il cammino era ovviamente ancora più difficile. Partito maluccio, Bradbury rimase in fondo per tutta la gara. Alla penultima curva divenne quarto per via di una caduta, ma per arrivare in finale serviva una specie di miracolo. Che puntualmente arrivò: all'ultima curva, mentre il primo filava indisturbato verso il traguardo, il secondo ed il terzo si ostacolarono a tal punto da cadere entrambi, spalancando a Bradbury le porte della sua prima finale olimpica individuale.

Ma in finale non c'era storia. Il titolo era già prenotato dal fortissimo Ohno, che oltre ad essere il più talentuoso aveva anche il vantaggio di giocare in casa; al doppiamente miracolato Bradbury spettava semplicemente di fare da comprimario per chiudere decorosamente, con una finale olimpica, la carriera da professionista. E difatti ancora una volta, complice una pessima partenza, il povero australiano si era ritrovato immediatamente ultimo. Ad una tornata dalla fine il suo imbarazzante svantaggio era di circa mezzo giro.
Davanti invece, la battaglia per la vittoria era serratissima: ancora una volta sarebbe stata l'ultima curva a decidere. Ma in un modo che nessuno si sarebbe aspettato.
Ohno sferrò una gomitata talmente forte da far cadere uno degli avversari, che lo trascinò tuttavia giù con sé innescando un'improvvisa carambola. Nel giro di due secondi erano tutti caduti a terra; tutti tranne il serafico Bradbury, che ebbe tempo a sufficienza per scavalcare tutti gli avversari in un sol colpo solo e cogliere indisturbato il primo oro della sua carriera, diventando inoltre il primo campione olimpico invernale proveniente dall'emisfero Sud.
L'intera spassosa vicenda è stata raccontata dalla mitica Gialappa's in un esilarante video.



Sembra una vittoria figlia esclusivamente della fortuna, in qualche modo da sminuire. Ma in fondo Bradbury non aveva dimostrato di essere stato comunque in qualche modo il più meritevole, per il semplice fatto di essere stato, a conti fatti, l'unico ad essere arrivato ogni volta al traguardo senza cadere né essere scorretto?
A saperne un po' di più, si scopre che non c'è poi molto da ridere. Perché Steven Bradbury era stato fino a quel momento molto sfortunato. Esageratamente sfortunato. Addirittura aveva rischiato di morire in due gravissimi infortuni. In una caduta durante i mondiali del 1994 rimase ferito ad un'arteria femorale dalla lama di un pattino, perse 4 litri di sangue, ricevette 111 punti di sutura e fu costretto ad una riabilitazione di 18 mesi prima di ritornare a pattinare. Nel 2000, invece, durante un allenamento cadde fratturandosi il collo e fu costretto a rimanere immobile per ben 6 settimane. Questo spiega perché la grande promessa dello short track australiano non si fosse mai consacrata.

Ecco, forse, perché voleva esserci a tutti i costi a Salt Lake, per congedarsi con onore da uno sport a cui aveva dedicato la sua vita e che gli aveva restituito indietro pochissimo.
Ed ecco anche perché la storia della sua vittoria, oltre ad essere indubbiamente divertentissima, è anche bellissima. E' come se il destino avesse deciso di sdebitarsi tutt'a un tratto negli istanti decisivi, dopo averlo fatto tanto ed a lungo soffrire.
Una bellissima storia di onestà, perseveranza, tenacia, orgoglio, rispetto, passione e dedizione, superbamente ripagate con la massima soddisfazione che un uomo di sport possa ottenere. E poi il grande stile di non tornare sulle proprie scelte, ritirandosi dall'agonismo come campione olimpico, con grande eleganza.
Grande Steven Bradbury. Una storia capace di far ridere e commuovere nello stesso momento non può che essere una grande storia.

mercoledì 10 ottobre 2007

Non sparate sul DJ!

Approfittando del blitz a Roma, il nostro italiano si è riportato su in Svezia un bel po' di cose assolutamente indispensabili per la propria sopravvivenza: ad esempio strumentazione tecnicoscientifica di altà qualità, come la PlayStation Portable oppure i due joystick indispensabili per dare vita alla Coppa del Mondo di Pro Evolution Soccer 6, e ancora nostalgici lasciti della patria di nuovo abbandonata, ovvero lo storico bandierone tricolore acquistato all'indomani di Italia-Bulgaria, vittoriosa semifinale di Usa '94, che oggi, dopo essere stato protagonista del trionfo mondiale della scorsa Estate, campeggia orgogliosamente sulla parete della sua cameretta svedese, un po' sdrucito e smandrappato dal passare del tempo e dai gioiosi sventolamenti di ben 13 anni.
In mezzo ai libri, alle magliette da calcio, ai maglioni, alle sue adorate polo, ai 750g di caffè hanno trovato posto anche due curiosi oggetti, archiviati sotto la ben nota categoria "Non si sa mai, potrebbe sempre servire!": una scheda audio esterna ed un paio di bretelle. Due oggetti assolutamente indispensabili per chi va a studiare 4 mesi all'estero, tra l'altro.

Eppure, egli non avrebbe mai creduto che, incredibilmente, sarebbero tornati assai utili addirittura il primo Venerdì successivo al suo ritorno. Eh già, perché il Venerdì in questione scatta niente di meno che l' "Eighties Party", ennesimo scatenato festone a tema dedicato ai nostalgici anni '80: ovviamente, abbigliamento e musica dovranno essere adeguati alla circostanza.
Come sempre egli si presenta in splendida forma, con il suo inseparabile cappellino grigio e appunto le famose bretelle (un orribile regalo di una cara amica di sua madre, risalente a quando aveva circa dieci anni, indossato quella sera per la prima volta in vita sua) che, a detta di molti, gli danno un tocco irresistibilmente eighties. Non pago, si mette a chiacchierare con il DJ brasiliano della serata il quale lo invita a mettere la musica insieme a lui, visto che il nostro, tra le tante cose, si trastulla da almeno quattro anni con ogni possibile tipo di software musicale. Così egli se ne va bel bello a prendere il suo notebook (che è zeppo, fra le tante cose, anche di classici anni '80) e la sua scheda audio esterna, che di lì a poco si rivela indispensabile per connettere entrambi i computer all'impianto stereo.


Il nuovo inatteso ruolo di DJ precipita il nostro italiano in un inaspettato vortice di popolarità; per tutta la serata vienne assillato da una moltitudine di persone ubriache intente a porgli le richieste più strane: b-sides dei Clash, la colonna sonora di Grease, improbabili gruppi hip-hop tedeschi, addirittura computer music in stile Kraftwerk; il tutto, sempre e solo anni '80. Ovviamente ciascuno di loro rimane molto deluso dai desolati rifiuti che riceve. Ma lui rimane lì, incurante di tutto, a fare il suo lavoro.
Anche le ragazze ora lo guardano in maniera diversa. La frigida finlandese, ad esempio, lo ricompensa con un appassionato bacio sulla guancia per aver messo "Material Girl" di Madonna, da lei tanto richiesta. Inoltre, la famosa fiamminga conosciuta nei primi giorni, che dopo la galeotta birra offertale si era sempre tenuta un po' a distanza, lo avvicina entusiasta per chiedergli il numero ed invitarlo a fare il DJ ai nuovi esclusivi party in programmazione. Addirittura egli riesce nell'impresa di invitare a cena un'affascinante bavarese, che di lì a poco scoprirà essere nella short list delle donne più desiderate di tutto il campus.
Dopo aver rischiato il linciaggio per aver messo prima i Bee Gees, attribuiti dai puristi ai soli anni '70, e successivamente Bob Sinclair, snobbato dai più integralisti al grido di "Only music from the eighties, please!", il nostro fa ritorno felicemente sotto le pezze, stanco ma assai soddisfatto.

Alzatosi con comodo, il giorno dopo viene subito invitato dai suoi amici spagnoli ad una partita a pallone. Appena giunti, si contano e con stupore scoprono di essere appena in 4. Si decide così di coinvolgere nella partita anche alcuni simpaticissimi ragazzini di origine iraniana incontrati al campo. Scartata la suggestiva ipotesi di una sfida Spagna-Iran under 10, attraente ma indubbiamente alquanto iniqua, si decide di giocare a ranghi misti. Ma la sfida non decolla: dopo che il nostro italiano porta in vantaggio la sua squadra con un impossibile diagonale a porta sguarnita, l'infortunio di un norvegese viene preso a pretesto per sospendere la partita. Gli iraniani si disperdono delusi ed i tre superstiti si ritrovano malinconicamente a tirare calci di rigore.

Tornato a casa amareggiato, egli si getta subito nella preparazione della cena. Con un'agghiacciante puntualità la stupenda bavarese si presenta alle 19.00 e 2 secondi, spaccando il millesimo di secondo e cogliendolo alquanto di sorpresa. La cena si rivela alla fine alquanto frugale, poiché nessuno dei due sembra avere molta fame: il menu comprende rigatoni con pesto e gamberetti, piatto forte del nostro sedicente chef, insalata verde gentilmente offerta dalla bavarese per ricambiare l'ospitalità ed un corroborante espresso Danesi (ormai mi sono disabituato a chiamarlo caffè!). Dopo le consuete banali chiacchiere, la meravigliosa teutonica si volatilizza con la consueta rapidità spiegando che aveva già preso altri impegni, lasciando il nostro povero italiano con numerosi interrogativi riguardo all'enigmaticità dei suoi comportamenti.
Ma in men che non si dica piove su di lui da parte del brasiliano un altro invito per una scatenata festa. Festa che in verità si rivela alquanto squallida se confrontata con la precedente, visto che di fatto quasi nessuno balla, ma ci si limita solo ad ascoltare. Se non altro, l'assenza di vincoli tematici lascia libero il ritrovato DJ di propinare al pubblico ciò che preferisce, e così stavolta Bob Sinclair viene accolto con piacere.

Terminata la serata, il nostro italiano all'estero si ritrova con alcuni amici per una rilassante spaghettata notturna (come sempre, il compito di cucinare viene per qualche strano motivo assegnato agli italiani...). Il clima conviviale viene interrotto dalle gioiose urla di alcuni svedesi, stranamente ubriachi, fermamente intenzionati a gettare da un balcone del primo piano il loro televisore irreparabilmente scassato. Ne segue una gustosa litigata, tutta in svedese, tra i favorevoli ed i contrari al lancio; la spuntano questi ultimi, dopo aver minacciato di chiamare la polizia. Il lancio viene annullato, ma le polemiche non si fermano: rispunta anche la bavarese che, assai delusa per aver dovuto rinunciare ad assistere al lancio, per farsi consolare si rifugia tra le braccia di uno dei lanciatori, che effettivamente si rivelerà essere il suo tipo.
Tutto questo confonde ancor di più le idee del nostro povero italiano. E' possibile stare con una persona ed accettare l'invito a cena di un'altra? Un invito a cena non dovrebbe essere di solito un segnale abbastanza esplicito? Possibile che sia più compromettente offrire una birra ad una belga piuttosto che offrire una cena ad una tedesca? O forse ogni paese ha differenti convenzioni sociali e schemi comportamentali?
Di una cosa è sicuro. Ha odiato la bavarese con tutto il cuore per averlo costretto a cenare alle 7 di sera.

lunedì 1 ottobre 2007

Lettera d'amore

Hai visto? Non ti ho mentito, sono venuto veramente a trovarti per qualche giorno. Anche se sono già dovuto ripartire, non puoi capire quanto sono stato felice di poter trascorrere un po' di tempo con te. Lo sai che ti adoro, mi sei mancata tantissimo da quando sono fuori.
Sei sempre stupenda, lo sai? Ti ho ritrovata meravigliosa esattamente come ti avevo lasciato. Sei troppo bella, anche se la mattina sei sempre di fretta, sempre di corsa, e a volte mi tratti pure male. Certi lunedì mattina sei proprio antipatica, sai?
Però la sera sei diversa. Indossi sempre il tuo vestito migliore, sei simpatica, affettuosa, romantica, divertente, imprevedibile, nonostante mi sembri di conoscerti da sempre; sei sempre più bella. E poi nessuna potrebbe cucinare così bene come te!
Ti giuro sono troppo innamorato di te. So che mi mancherai, fino a Natale, ma so che sarà ancora più bello ritrovarti. Ti amo.

Ti amo, Roma.


giovedì 27 settembre 2007

Ubiquità

Eccezionale. Ieri ho fatto colazione a Karlstad, ho pranzato a Stoccolma, ho cenato a Roma. Nello stesso giorno sono stato in tre differenti città, la prima distante 300 km dalla seconda, entrambe distanti 2.500 km dalla terza. Nello stesso giorno ho interagito con persone che non saranno mai a conoscenza le une delle altre; ho attraversato per l'intera lunghezza lo spazio aereo di Danimarca, Germania ed Austria senza potermene accorgere; ho fatto acquisti utilizzando due valute diverse; ho parlato inglese ed italiano, ho ascoltato conversazioni in svedese, comunicazioni di servizio in danese e litigi in romanesco.

Solo cinquant'anni fa tutto questo sarebbe stato impossibile. Ecco perché siamo così fortunati a vivere in un'epoca che permette di viaggiare così rapidamente.
Non è proprio ubiquità, ma è comunque quanto di più vicino ad essa l'uomo abbia mai potuto realizzare.

lunedì 24 settembre 2007

Halva gruppen con ghiaccio

Proseguono le avventure del nostro italiano all'estero e della sua ormai inseparabile polo. Completamente rimessosi dal potente raffreddore, egli è reduce da una settimana particolarmente intensa. Incredibilmente, la notte tra Mercoledì e Giovedì la passa quasi del tutto in bianco a leggere le famose dispense di Service Management Control (circa 120 pagine estremamente ripetitive) e a scrivere una relazione sulle stesse. La sensazione, agghiacciante, è la stessa di quando faceva le nottate a Maggio 2006 correndo contro il tempo per preparare contemporaneamente la tesi e 5 esami. Eh già, perché oltre alla consegna della relazione, per Giovedì mattina l'orario del corso mette in programma anche un inquietante "halva gruppen". Dopo mezzora passata su Google, cercando in tutti i dizionari svedese-italiano online, è arrivato alla conclusione che "halva gruppen" significa grossomodo "interrogazione di gruppo". Scherziamo? Siamo solo alla terza lezione e già un esame? Questa cosa lo getta in una profonda ansia.

Giovedì si presenta bel bello alle 08.15 (!), spiritualmente pronto per il massacro. E invece no, perché il professore invita semplicemente tutti a mettersi in cerchio con le sedie e a riferire le proprie impressioni personali relativamente a quanto letto. Così, in perfetto stile alcolisti anonimi, ciascuno si presenta con voce flebile ed espone la propria visione della questione, che ovviamente non può prescindere dai soliti punti cardine: l'importanza di soddisfare gli stakeholders, la necessità di migliorare costantemente la qualità del servizio offerto, il fatto che quarant'anni dopo Philip Kotler il cliente continui a restare il perno di ogni buona strategia di marketing; ed una serie di altre ovvietà che non possono non trovare tutti d'accordo, professore compreso.

Terminato l'halva gruppen, il nostro stanchissimo italiano se ne torna a casa, stremato ma rasserenato, e si butta immediatamente sotto le pezze, dove rimane spaparanzato a crogiolarsi nell'ozio fino alle otto di sera. Giusto in tempo per dedicarsi, ritemprate le forze, al nuovo roboante weekend: perché, com'è noto, in Erasmus il weekend comincia il Giovedì sera.
La serata prevede il consueto festino organizzato non si sa bene da chi (alcuni sostengono da due tedeschi, ma non se ne avrà mai la conferma), cui il nostro italiano, come vuole lo spirito Erasmus, è stato imbucato da un suo amico olandese, che lo costringe peraltro ad assaggiare un micidiale liquore greco, stupito del fatto che sia l'unico che non sta bevendo una birra. Com'è noto, il nostro italiano detesta la birra. Come sempre, la serata si conclude nella più squallida discoteca di Karlstad, per il semplice fatto che il Giovedì gli studenti entrano gratis.

L'indomani il copione è incredibilmente simile: il nostro si autoinvita al compleanno di una spagnola da poco arrivata, dove, dopo un mese di pastasciutta e finte polpette, può finalmente spizzicare qualche salume decente (chiaramente di provenienza iberica). Dopo la torta, peraltro assai gustosa per essere svedese, egli viene calorosamente incoraggiato dai suoi amici spagnoli a parlare con loro in spagnolo (anzi, "espanish", come dicono loro), ma dopo la terza frase la sua mente, già stressata dalla doppia partizione italiano-inglese che è stata creata un mese prima, rifiuta definitivamente di installare il programma hablar_español.exe, e così deve scusarsi e rinunciare.
Come sempre, la serata si conclude nella più squallida discoteca di Karlstad, per il semplice fatto che anche il Venerdì gli studenti entrano gratis. Il nostro si prende come ogni volta il suo Baileys con ghiaccio, e come ogni volta tutti gli chiedono come mai sia l'unico che non sta bevendo una birra. Com'è noto, il nostro italiano detesta la birra.


Una volta tanto, la serata più cool è prevista per Sabato. Altro festone a tema: stavolta bisogna vestirsi come divi del cinema. Poichè al momento possiede solo tre maglioni e quattro camicie, il nostro italiano all'estero decide di non seguire il tema e presentarsi vestito in maniera estremamente casual, come effettivamente farà il 90% dei partecipanti. Così, con indosso la sola polo ed un paio di jeans, il nostro esce a sfidare il freddo scandinavo: ha deciso infatti che, anziché difendersi dal freddo ad ogni costo, vuole invece adattare il suo fisico mediterraneo al rigido autunno gialloblu.
La festa è ballereccia, e nella miglior tradizione musicale scandinava la playlist è priva di qualsiasi possibile coerenza: così, dopo l'immancabile "The Final Countdown" dei locali Europe, accolta entusiasticamente da tutti gli svedesi presenti come se fosse il loro autentico inno nazionale, nello stupore generale scattano i lenti. Prima che possa riaversi dalla sorpresa, il nostro italiano all'estero vienne avvicinato da un'affascinante locale (per la verità originaria del Bangladesh) che lo invita a ballare; ma non con lei, purtroppo, bensì con una sua amica, anch'essa locale ma tutt'altro che affascinante, che già Giovedì in discoteca lo aveva costretto a ballare con lei. Lui, si sa, è una persona educata ed in tutte e due le occasioni ha accettato; finito il ballo, tuttavia, si mette subito alla ricerca di un modo per elevare il tasso estetico della sua serata danzereccia.
Un singolare deja-vu riporta il nostro ai tempi dei campi estivi con la parrocchia, quando durante la libidinosa serata finale si faceva di tutto per riuscire a ballare un lento con una delle poche ragazze carine a disposizione; e lui, che di campi estivi con la parrocchia ne ha fatti otto, infila subito un colpo da maestro invitando a ballare, sulle note di "Que sera sera" di Doris Day, una notevole roscia di Helsinki, autentica reginetta sexy della serata. La differenza culturale si fa però inevitabilmente sentire, e la proverbiale glacialità finnica trasforma immediatamente quello che sarebbe dovuto essere un lento passionale in una sorta di valzer postmoderno, che per poco non si conclude con una cordiale stretta di mano.
Non c'è male comunque: i danni almeno sono stati limitati, e fortunatamente prima di due settimane non ci sarà un altro halva gruppen.

domenica 16 settembre 2007

Nutella e Aspirina

Eh già, lo so che molti di voi saranno sorpresi nello scoprire che il nostro italiano se n'è rimasto a casa di Sabato sera. Ma come, sei in Erasmus e non vai a divertirti, ubriacarti e concupire donne proprio di Sabato sera?
Sì, cari miei. Perché dovete sapere che in Erasmus può essere Sabato anche tutte le sere: ad esempio sono reduce da due festini scatenati celebrati Giovedì e ieri. Quindi per conto mio può valere anche il principio contrario: dopo due Sabato sera consecutivi per me oggi è Lunedì sera, e me ne sto a casa.
Non è questione di antipatie, malumori, solitudini o stanchezze, sia chiaro (malgrado la vita notturna di Karlstad mi sembri a volte paragonabile a quella di Pessano con Bornago, ridente frazione del milanese); è che semplicemente sto male! E la colpa è in buona misura anche dei due Sabato sera consecutivi appena vissuti. Riepiloghiamo.

Giovedì scatta lo Spanish Party, a cui il nostro italiano si presenta baldanzoso, nonostante soffra già di un certo qual raffreddore, con la sua bella polo appena acquistata e niente sopra, malgrado il termometro segni 6 gradi centigradi; assaggia qualche gustosa frittura iberica, tracanna con gusto 7 bicchieri di Sangria (anche se pensa che quella fatta dai suoi amici in Italia sia migliore, ma ovviamente agli spagnoli non lo dice!) dopodiché si aggrega felice alla combriccola che se ne va a ballare giù in città. Alle 2, ora in cui è obbligatoria la chiusura delle discoteche in Svezia (vi capisco, anch'io sono stato a ridere mezzora quando l'ho saputo!), lo shock termico riscontrato nel passaggio tra la sauna da ballo ed il freezer a cielo aperto che è Karlstad in notturna precipita il nostro povero italiano in un vortice di starnuti e colpi di tosse che si manifestano in tutta la loro tragicità il pomeriggio successivo, quando egli si risveglia nel suo lettino in preda ad un feroce combinato disposto raffreddore/mal di testa/gola.
Ma il nostro non si perde d'animo e si imbottisce di aspirine, sopportando stoicamente il mal di testa, anche perché quella sera è in programma uno degli avvenimenti più esclusivi e mondani di tutta Europa: il Pimp Party.

Si tratta in pratica di un mega festone, dedicato a tutti gli exchange students, come si usa dire qui, i quali dovranno presentarsi vestiti a tema: da papponi, se uomini, da mig****e, se donne. Idea indubbiamente elegante e raffinata, avuta, secondo le testimonianze, da alcune avvenenti olandesi; e brave ragazze.
Malgrado sia conosciuto, forse a torto, come persona morigerata e scarsamente esibizionista, il nostro italiano non vuole mancare per nessun motivo ad una situazione del genere ed anzi si presenta in splendida forma: camicia a righe fashion, jeans D&G original, giacca leggera, basco grigio comprato il giorno prima, tutti i braccialetti e le collane che possiede (non molti in verità) e, tocco di classe, occhiali da sole che non mette via per tutta la sera, malgrado sia ovviamente buio pesto.
Anche stavolta i problemi sorgono all'uscita: l'ingenuo aveva creduto di potersi difendere dal freddo scandinavo con una semplice sciarpetta scozzese, ma evidentemente non basta.
E così l'indomani, cioè stamattina, la situazione risulta peggiorata, ed il nostro povero italiano decide di rifugiarsi dalle uniche che riescano a capirlo fino in fondo: le sue amiche Nutella ed Aspirina. Nutella si lascia spalmare amabilmente sull'insipido pane svedese o sugli sfigati biscotti danesi, a seconda dei casi, allieta con la sua dolcezza il palato del povero infermo mediterraneo ed infine prepara il suo stomaco per la visita di Aspirina, che con cadenza regolare, circa 4 volte al giorno, impegna tutta se stessa nel far guarire il malcapitato.

Purtroppo malgrado la coraggiosa abnegazione di Aspirina, il povero italiano si ritrova ugualmente alle dieci di sera con il naso arrossito e devastato come quello di un cocainomane, tante sono le volte che se l'è soffiato, un mal di testa da mischia contro gli All Blacks ed una tosse talmente esagerata da sembrare finta. E quindi prende la decisione più importante della giornata: stasera me ne sto a casa. Tiè.
Una buona occasione per cercare quelle maledette dispense online per il corso di Service Management Control, ed anche per farsi un po' gli affari di illustri sconosciuti andando a curiosare nei blog degli amici degli amici.
Tutto questo nell'attesa che un nuovo amico, Sciroppo, venga l'indomani a risolvere finalmente questa situazione che si sta rivelando più problematica di quanto pensasse.

giovedì 13 settembre 2007

Il delitto perfetto

Mai abbassare la guardia, neanche ai fornelli. Il nemico potrebbe nascondersi sotto le spoglie più impensate...

domenica 9 settembre 2007

A proposito di Rugby

Parliamone. Ieri c'ero anch'io davanti alla tv (o meglio davanti al computer, grazie ai potenti mezzi dello streaming p2p) a vedere il preventivato tracollo del 15 azzurro contro gli All Blacks.
Mi è sempre piaciuto seguire il Rugby, forse perché ho capito molto presto che il mio futuro, e forse anche il mio successo, sarebbero stati dietro una scrivania, non certo su un campo sportivo, e quindi probabilmente mi diverte vedere trenta energumeni litigarsi una stupida palla su un campo fangoso mentre io me ne sto felicemente in poltrona a sorseggiare il caffè dopo pranzo e a godermi lo spettacolo.
Ma come sempre da parte mia il rispetto è grande, come è giusto che sia verso chiunque dedichi la propria vita ad appassionare altre persone: questo è quello che fanno tutti gli uomini di sport.
Il rispetto c'è, sincero, per tutti i rugbisti, persone che hanno scelto di fare qualcosa che io non farei mai, ed in particolare per quelli della nazionale italiana, onestamente ed orgogliosamente molto meno bravi degli altri, ma pure in grande crescita, anno dopo anno. Per questo Nuova Zelanda-Italia era un appuntamento da non perdere, per il prestigio degli avversari, per la circostanza, ovvero l'esordio in coppa del mondo, perché l'Italia alla fine della fiera due mete le ha segnate, ha infilato anche le due trasformazioni, ha portato a casa 14 punti, e quindi bravi ragazzi, complimenti sinceri, e poco male se gli All Blacks di punti ne hanno messi 76, di più davvero non si poteva fare. Anche perché le sfide che contano saranno con Portogallo, Romania e soprattutto Scozia. Perdere con la Nuova Zelanda davvero non sposta nulla, tanto si corre per il secondo posto.


Il vero problema, se di problema in fondo si tratta, è nel dopo partita. Perché come al solito qualche testata, cartacea o virtuale non fa differenza, oltre a proporre i giustissimi e meritati complimenti all'Italia del Rugby, ha puntualmente ritirato fuori dalla soffitta la consueta querelle a base di "questo sì che è vero sport, è un gioco è duro ma leale, perché i giocatori si rispettano e a palla ferma vige la correttezza più assoluta"; e poi, visto che il nostro difetto nazionale è quello di parlare sempre male di noi stessi, possibilmente sputando nel piatto in cui ci piace mangiare, ecco l'altrettanto consueta frecciata al mondo corrotto del calcio, dove ci si insulta, ci si fanno falli macroscopici, ci si danno testate, ci si sputa, e così via.
Il punto è questo. Non voglio essere frainteso: a me piace molto il Rugby.
E' uno sport avvincente e spettacolare, mai noioso, molto difficile e tecnico.
Ed è anche un po' bizzarro.
Richiede espressamente in squadra la presenza di persone visibilmente sovrappeso, in modo che possano fare massa durante le mischie.
Si gioca con una palla che non è una palla, bensì un ovale, senza alcun valido motivo se non quello di rendere la vita più difficile ai giocatori.
Si può giocare sia con le mani che con i piedi, ma di norma 14 giocatori su 15 hanno i piedi fucilati e sanno fare solo goffi rinvii di emergenza buttando la palla in fallo laterale; il quindicesimo invece se ne sta di solito ben lontano dalle mischie perché è l'unico capace di calciare quella palla incalciabile in mezzo ai pali, un'autentica magia.
Ed è vero che questo sport ha un'etica tutta sua, se hai la palla posso aggredirti ma se non ce l'hai non posso neanche sfiorarti. Verissimo. Però non è altrettanto vero che i giocatori di Rugby quest'etica la rispettino proprio sempre. Perché ieri, se non ve ne siete accorti, un neozelandese è stato ammonito per aver dato un pugno al nostro Lo Cicero. Un pugno, avete capito bene.
Ma nessuno si è scandalizzato, a quanto pare.
Sarà stato un caso? No. Perchè da qualche tempo a questa parte in ogni partita di Rugby che vedo succede qualcosa che non è affatto rugbish: un pugno, una rissa, una scazzottata. Oppure un'autentica lotta tra due giocatori, come durante Galles-Irlanda, incontro decisivo del Sei Nazioni 2005, quando l'arbitro dovette sospendere la partita per due minuti; e alla fine i due non furono nemmeno puniti, ma solo richiamati verbalmente.
Ovviamente niente di tutto ciò fece notizia.

Nonostante questo, a me il Rugby piace. Però adoro il calcio. Ieri sera c'ero anch'io davanti al computer (sempre grazie ai potenti mezzi dello streaming p2p) a vedermi Italia-Francia: c'ero perché non potevo non esserci, perché ho passato tutto il tempo, malgrado la partita fosse noiosissima, a rivivere con l'immaginazione quell'altra Italia-Francia, la partita più bella, quella che non mi scorderò mai, quella che racconterò ai miei figli, se ne avrò, finché non avranno vinto un Mondiale tutto loro.
Perché scusatemi tanto, ma io non riesco ad esaltarmi così tanto per la meta di Bergamasco come per l'incornata di Materazzi contro la Rep. Ceka, tanto per fare un esempio.
E se siete tra quelli che inneggiano al Rugby come allo sport leale per eccellenza e detestano il calcio sotto qualunque aspetto, vi suggerisco caldamente di fare qualcosa che probabilmente non avete fatto, cioè guardare una partita di Rugby. Però guardarla veramente.
Vi accorgerete che le regole sono diverse, ma sono sempre uomini quelli che giocano.
Uomini che ogni tanto perdono la pazienza, e magari danno un pugno all'avversario. E' sbagliatissimo, però succede. Nel calcio come nel Rugby.
E allora permettetemi una domanda: perché se un calciatore dà un pugno ad un avversario viene squalificato, giustamente, per almeno un mese, mentre un rugbista se la cava con una semplice ammonizione?
Forse è il rugby che dovrebbe imparare qualcosa dal calcio.

mercoledì 5 settembre 2007

Come sopravvivere in Scandinavia tra tessere magnetiche, porte girevoli e falsi caffè

Bentornati!
Dopo quasi tre settimane il nostro italiano all'estero ha scoperto che la Svezia è un paese molto più diverso dall'Italia di quanto avesse immaginato, ma anche molto più simile all'Italia di quanto avesse immaginato. Egli continua ad esempio ad arrotolare le maniche delle sue camicie, ed anche a girare in infradito nel cortile davanti casa, perché, almeno per i primi 10 giorni, la temperatura media nel Varmland era di appena 2 gradi inferiore a quella di Roma caput mundi che più caput non si può. Egli si è accorto anche con stupore del fatto che sta mangiando più pasta ora di quanta ne mangiasse durante la sua "Vita da scapolo" (cfr post omonimo), e si è scoperto in questo essere un fervente ed orgoglioso patriota.
Tuttavia egli si è anche dovuto confrontare con alcune novità inattese. Innanzitutto il caffè: che non è vero caffè, perché nessun intenditore di caffè oserebbe mai chiamare caffè questo caffè che gli svedesi, evidentemente non intenditori di caffè, osano chiamare caffè, mentre invece il vero caffè non è chiamato caffè bensì con quel termine che noi italiani di solito non usiamo mai per intendere un caffè, perché se vogliamo un caffè chiediamo un caffè.

Insomma se siete in Svezia e avete espresso il desiderio di bere un espresso dovete espressamente chiedere un espresso; se invece avete la malaugurata idea di chiedere un semplice caffè tout court vi sarà servito un costosissimo bicchierone di acqua calda e tracce di caffeina: una sorta di cicorione infame, per di più ad una temperatura tipica di 16.432 gradi Farenheit che renderà difficoltosa qualsiasi forma di comunicazione verbale per le 3 ore successsive.

Ma le insidie non finiscono qui. Perché qui in Svezia vanno matti per le porte girevoli, evidentemente utili a preservare il clima caldo all'interno degli edifici. Ci sono porte così praticamente ovunque. "E che problema c'è?" direte voi, "Ce le abbiamo anche noi in Italia!".
Già. Se non fosse che qui girano alla velocità della luce. Ci vogliono almeno due giorni per trovare la giusta coordinazione, al caro prezzo di sgrugnate sul vetro e incalcate nella schiena a causa dei manici di ferro. Molto duri. Per non parlare di quando tali porte sono manuali e si ha la sfortuna di trovarsi a varcarle in contemporanea con un vikingo locale (uomo o donna non fa differenza), il quale, in perfetto Swedish style, aziona la porta con una potenza sovrumana senza curarsi minimamente di chi c'è dall'altra parte.

Ma in mezzo a tutti questi pericoli, una certezza si erge come rassicurante baluardo per il nostro italiano all'estero: le tessere magnetiche. Qualunque cosa vogliate fare in Svezia, state sicuri che è necessario possedere una carta magnetica per poterlo fare. Il vostro tenore di vità sarà direttamente proporzionale al numero di tessere che possedete.
In due sole settimane il nostro italiano all'estero ne ha già accumulate sette, e per la precisione:
1) Carta di credito svedese, attualmente inutilizzabile perché il conto è sguarnito;
2) Abbonamento dell'autobus bisettimanale ricaricabile;
3) Tessera della biblioteca pubblica;
4) Tessera della biblioteca universitaria;
5) Tessera dell'associazione studentesca di Karlstad, indispensabile per poter sostenere gli esami;
6) Pass per entrare nell'aula computer dell'università;
7) Scheda ricaricabile per fotocopie all'università.
Non c'è male, ma c'è da essere sicuri che ne arriveranno altre.

C'è comunque una cosa che al nostro italiano è piaciuta davvero tanto, di questa Svezia, una cosa che in Italia non c'è: la luce gialla anche prima del verde al semaforo. Così non c'è bisogno di sporgersi a guardare per rubare la frazione di secondo allo scatto del verde, ci pensa il giallo ad avvisarti.
Gran bella idea. Ma conoscendo gli automobilisti italiani, è meglio che questa bella idea rimanga in Svezia.

mercoledì 29 agosto 2007

Valkomna till Varmland! ovvero italiani all'estero

Benvenuti a Karlstad, Italia.
E' davvero impossibile scordarsi di essere italiani in questa piccina e ridente cittadina del nord Europa. Angoli, strade, piazze, negozi, ristoranti, supermercati sono invasi da una stupefacente serie di parole italiane, e soprattutto, di prodotti italiani.
Gli svedesi hanno per la pasta Barilla un rispetto ed una devozione assolutamente paragonabile a quella di noi italiani, che pure abbiamo utilizzato le penne rigate per riprodurre ed esportare in tutto il mondo, e quindi anche qui, il nostro meraviglioso tricolore.


Non c'è da stupirsi poi tanto, quindi, se si viene a scoprire che il piatto tipico svedese non è altro che un'immane teglia di rigatoni scotti con alcuni agghiaccianti ingredienti aggiuntivi.

Allo stesso modo, pronunciare le semplici frasi "I come from Italy" e "I live in Rome" genera automaticamente rispetto, simpatia e benevolenza da parte dell'interlocutore, qualunque sia la sua nazionalità, e precipita immediatamente il nostro italiano all'estero in un vortice di luoghi comuni sull'Italia: tra i più gettonati, 20 minuti di racconto sulla settimana di vacanza a Roma due anni fa, con il ricordo del lancio della monetina nella Fontana di Trevi e le impressioni sul cupolone visto in notturna, e altri 15 minuti di richiesta di consigli sul modo migliore di cucinare la pasta, tempi di cottura, condimenti e trucchi del mestiere.
La variante tedesca, invece, prevede un brindisi rappacificatore nel nome di Fabio Grosso, ricordando che, in fondo, la Germania vinse in Italia nel 1990, dunque i conti sono pressappoco pari.

Attenzione però, perché il nostro povero italiano deve pur sempre fare i conti con la più ingombrante fama che lo possa riguardare all'estero, sempre in base ai luoghi comuni internazionali, anche quando egli si celi sotto le spoglie pacifiche e inoffensive del sottoscritto: quella di provolone a tempo pieno.
Qualunque azione o frase, compiuta o pronunciata nel nome della cordialità, dell'europeismo, dell'educazione, della gentilezza (tutti valori in cui il nostro italiano crede molto) viene quasi sistematicamente scambiata per un focoso tentativo di seduzione, sulla base del principio che il maschio latino è caliente e passionale anche quando chiede che ore sono.
Basta quindi offrire una birra ad una graziosa fiamminga (perché è davvero antiestetico stare lì ad attendere che la tipa trovi i soldi, spicciolo dopo spicciolo), per ritrovarsi la sera successiva assediato da una discreta moltitudine di olandesi interessate a sapere se sei proprio tu l'italiano che la sera prima stava "flirtando" con la tipa!

Che dire, ogni popolo ha le sue convenzioni sociali. Gli europei hanno una quantità incredibile di aspetti, atteggiamenti e abitudini comuni, ma ci sono alcune piccole, minuscole differenze che fanno la differenza (scusate il bisticcio di parole), e che, ad esempio, rendono l'italiano provolone anche se lui non crede di esserlo.
Ma se si parla di pasta, allora l'italiano torna in auge, perché nulla sembra in grado di unire gli europei meglio di un piatto di pasta.

Benvenuti a Karlstad, Europa.

venerdì 17 agosto 2007

Arrivederci Roma...

E alfine il momento è giunto.
Domani si parte per la fredda Scandinavia, ed il sottoscritto dovrà fare a meno di tutto ciò che finora c’è stato di fondamentale nella sua vita.


Niente più pokerate il Giovedì sera. Niente più Gazzetta fresca di stampa la mattina. Niente più cornetto e cappuccino. Niente più Chicken Fries al Burger King di Via Ostiense.

Niente più bombe al nocciolatte alle quattro del mattino alla Dolce Notte. Niente più partite a stecca all’Americaruso. Niente più cornetti al Marechiaro.
Niente più fila sull’Aurelia. Niente più tassisti in tripla fila a Baldo degli Ubaldi. Niente più casalinghe invasate in Smart sul Lungotevere. Niente più bradipi travestiti da pedoni rimbecilliti a Via della Conciliazione. Niente più parcheggi impossibili vicino all’università.
Niente più tangenziale. Niente più GRA!
Niente più infradito. Niente più camicie a fiori. Niente più discoteca in spiaggia. Niente più mezze stagioni. Niente più maniche di camicia arrotolate.
Niente più caffè! Niente più pastasciutta! Niente più cucina mediterranea!
Niente più Emilio Fede. Niente più Lucignolo. Niente più Bruno Pizzul (vabbè che sarebbe già in pensione...).

Niente più Calciopoli. Niente più Moggi. Niente più Juve in Serie B. Questo per tutti però.

Niente di tutto questo, almeno fino a Natale.
Ce la farò?

venerdì 3 agosto 2007

Domande bizzarre

Perché un portiere d’albergo di Capri è il segretario nazionale del Partito Comunista Italiano Marxista-Leninista?
Perché se una donna alle sette del pomeriggio ha già messo il pigiama non ci sarà mai verso di convincerla ad uscire la sera, neanche se la inviti ad un party esclusivo con Costantino e Flavio?
Perché, dopo che Fiorello ha lanciato Fiorellino, Giorgio Bocca avrebbe grosse difficoltà a lanciare suo fratello?
Il ciambellano era chiamato così per la graziosità del suo fondoschiena?
Perché la Lega Nord ha accettato di partecipare per un quinquennio al governo di una nazione che dichiarava di non riconoscere?
Perché le donne vanno sempre al bagno in coppia?
Perché esistono l’Ostiense, la Via del Mare e la Via dei Romagnoli? Non aveva più senso fare un’unica grande strada a carreggiate separate, anziché tre stradine a doppio senso che fanno lo stesso identico percorso affiancate?
Perché, mentre Paperino si fa beatamente la sua Paperina, Pippo è sempre di cattivo umore?
Perché il contrario di "accumulatori" non è "sparpagliavacche"?
Come mai esistono persone disposte a spiaccicarsi decine di uova in testa in uno show tv per cercare di vincere un’auto che potrebbero poi essere costretti a dover ammaccare pesantemente?
Perché se una donna ha le mestruazioni cerca di farlo sapere al maggior numero di uomini possibile? E’ forse un’atavica reminiscenza di primitiva fertilità che la spinge inconsapevolmente a farlo?
Perché i Verdi si battono strenuamente per la difesa di qualunque aiuola comunale a rischio e poi sono favorevoli all’aborto? Un’embrione non dovrebbe avere almeno gli stessi diritti di tutela di un’aiuola, visto che sono entrambi forme di vita?
Perché il contrario di "abbondantemente" non è "a Berlino Petrarca dice la verità"?
Perché la federacalcio olandese non concede mai alla Konami la licenza per riprodurre i nomi esatti dei giocatori della nazionale su Pro Evolution Soccer?
Ci pensate mai al fatto che un noto ex cocainomane dichiarato è uno dei personaggi dello spettacolo più amati ed ammirati, anche dal sottoscritto?
Perché i pedoni di Via della Conciliazione ogni santo giorno camminano felici e spensierati in mezzo alla strada e ogni volta che suono discretamente il clacson per passare mi guardano con disapprovazione come se avessi invaso un’area pedonale?
Perché tanti amici che potrebbero telefonarsi preferiscono scriversi su MSN?
Perché, se la mucca fa muu, il merlo non fa mee, il maiale non fa maa, il micio non fa mii e il montone non fa moo? E perché questo interrogativo è stato limitato finora al solo merlo e non è stato sollevato anche per questi altri animali?

mercoledì 1 agosto 2007

Vita da scapolo

Eccomi giunto alla mia terza settimana, credo, da scapolo.
La famiglia parte alla volta della graziosa magione marittima, ed il sottoscritto si ritrova improvvisamente padrone e signore della sua adorata dimora.
La vita da scapolo diventa quindi l'occasione di confrontarsi con se stessi, e soprattutto con una serie di questone casalinghe tipicamente ignorate nei restanti giorni dell'anno.
Il sottoscritto si districa in questa giungla di incombenze di varia natura con la sua proverbiale nonchalance, perfettamente in equilibrio tra la più scrupolosa attenzione e la più becera noncuranza, passando dall'uno all'altro stato ogni volta senza alcuna valida ragione apparente.

Tra le annose questioni che gli toccano ogni giorno rientrano sfamare i suoi due gatti, svuotare la vaschetta del deumidificatore, controllare posta e segreteria telefonica, mettere l'allarme perimetrale ogni volta che si allontana da casa per gozzovigliare, provvedere alla sua personale salute osservando l'adeguata igiene ed un'alimentazione sana ed equilibrata.
Purtroppo non tutti questi incarichi possono essere assolti con la dovuta tempestività.
Può succedere quindi che il deumidificatore resti fermo più del dovuto perché il sottoscritto si è dimenticato di svuotare la vaschetta (che è capiente, ben 14 litri, ma fidatevi del fatto che ci mette poco a riempirsi) e quando scende per farlo l'impressione è di aver profanato un'antica tomba etrusca, dato l'elevato tasso di umidità dell'aria. Può succedere anche che i gatti restino senza cibo persino per 24 lunghe ore, perché il sottoscritto aveva preventivato di tornare a casa prima ed invece poi si era trattenuto fuori fino a notte inoltrata; questo spiega perchè i due innocui micetti lo accolgano l'indomani con ruggiti violenti e gli saltino addosso come grizzly imbestialiti non appena esce con il piattino stracolmo di cibo, per farsi perdonare.

Tuttavia lui sa di aver trovato comunque un equilibrio, personale ma efficace, nel portare avanti questa esperienza casalinga. E piano piano anche i gatti ed il deumidificatore stanno cominciando a capirlo.
Egli osserva infatti alcune ferree regole di vita, che ha raccolto in un decalogo.

1) Se la scorta di mutande pulite finisce non si lavano quelle già usate, ma se ne comprano di nuove al mercatino di Acilia;
2) Ciascuna stoviglia usata per cucinare può restare indisturbata sul fornello anche per 7 giorni senza essere lavata;
3) Ogni possibile incrostazione presente su esse è per convenzione da ritenersi innocua, almeno finché non comincia ad emettere esalazioni pestilenziali o a vivere di vita propria;
4) Anziché dare da mangiare due volte al giorno ai gatti, la mattina ed il pomeriggio, è preferibile dare loro un'unica razione doppia verso ora di pranzo, così se la possono gestire come meglio credono;
5) Le camicie non vanno stirate. Fa molto più trendy indossarle tutte spiegazzate, appena prese dal cesto della biancheria;
6) Spazzare non ha senso. Tanto poi la polvere si riforma subito dopo;
7) Ogni spesa sensata riguarderà al 90% gelati, the freddo, succhi di frutta al gusto esotico e biscotti costosi;
8) Si sconsiglia vivamente l'acquisto di frutta, verdura, legumi e analoghi cibi non abbastanza artificiali;
9) Cucinare il minimo indispensabile, ma quando lo si fa tentare ricette nuove, come i rigatoni tonno e Mistrà;
10) Ogni serata è assolutamente adatta per organizzare pokerate con gli amici, anche alla texana.

Seguendo tali imprescindibili precetti, il nostro scapolo a tempo determinato si prepara con inflessibile rigore alle difficoltà della vita scandinava, che lo attendono al varco.

mercoledì 25 luglio 2007

Aerei e punti interrogativi

Non posso farci niente. Ogni volta che arriva l'Estate (quella vera), che gli esami si decidono a dare un po' di tregua, che gli amici uno dopo l'altro se ne tornano a casa per godersi il meritato riposo, inevitabilmente mi sale una discreta ma incontrastabile malinconia. Tempo di riflessioni, di bilanci, e ancor peggio, di confronti. Inevitabili confronti.

Un anno fa, di questi tempi, avevo appena iniziato a godermi il mio notebook nuovo di zecca, frutto di una calda laurea estiva, e mentre mi riprendevo da una piccola ma immensa delusione sentimentale, quasi per scherzo avevo iniziato a pianificare un tranquillo viaggio agostano che non potevo sospettare mi avrebbe cambiato la vita per sempre.

Oggi invece me ne sto a scrivere queste righe davanti al mio amato notebook, che ha avuto un anno di tempo per diventare il fedele depositario delle mie velleità editoriali, delle mie frenesie narrative, delle mie schizofrenie musicali, dei miei silenziosi trionfi a Pro Evolution Soccer, dei miei esperimenti informatici, riuscendoci appieno. Intorno, la consapevolezza di aver iniziato a fare chiarezza nella mia vita, ma anche un'infinità di punti interrogativi che verranno ad affrontarmi, prima o poi, uno dopo l'altro.

Magico 2006! Perché sei finito?
Come faccio a non avere alcun rimpianto per l'Estate più bella della mia vita?

Tutto semplicemente perfetto. A cominciare dall'Italia che stupisce tutti e vince il Mondiale. Che spettacolo! Perché vincere un Mondiale non significa semplicemente guardare in ciabatte sul divano undici italiani che vincono una partita di calcio, ma abbracciare il proprio migliore amico dopo che Grosso ha segnato l'ultimo rigore e poi fare le cinque del mattino suonando il clacson sul Lungotevere con dei perfetti sconosciuti.
E poi appena due giorni dopo mi attendeva la soddisfazione più bella, dopo aver fatto carte false (e non solo metaforicamente...) per poter discutere la tesi a Luglio anziché a Dicembre. E poi la festa più bella, quella con tutte ma proprio tutte le persone a cui volevo bene.
E poi? E poi, su una delle isole più belle che esistano, l'incontro che non mi sarei mai aspettato.
A volte basta uscire di casa per incontrare una persona speciale; altre volte, come nel mio caso, è necessario prendere un aereo e poi avere un po' di fortuna.

E poi arrivava Settembre, il mese che forse preferisco, perché si ritorna alla quotidianità, ci si ritrova dopo la dispersione estiva per un nuovo, lungo anno che è appena all'inizio.
Un Settembre particolarmente generoso, che mi aveva fatto (ri)trovare il lavoro in quella casa editrice che mi era tanto piaciuto, oltre ad un generoso stipendio; indispensabile, visto che di lì a poco sarei diventato cliente abituale della peggior compagnia aerea che esista in Italia.
Ci sono persone che viaggiano per lavoro, altre per studio. Io viaggiavo per amore. Per giunta con una compagnia scalcinata.



Poi è arrivato il 2007. Per un po' lo slancio positivo dell'anno precedente si è fatto sentire. Poi sono arrivate le scelte, e lì mi sono accorto che quel meraviglioso equilibrio che ero riuscito a costruire nella mia vita aveva i giorni contati.
Per prima cosa ho scelto di finire con il lavoro: studiavo poco e lavoravo male. E poi che senso ha chiudersi in un ufficio a 22 anni se c'è tutta la vita per lavorare?
Poi ho raccolto quella sfida che da due anni almeno giaceva in un angolo: il viaggio di studio in Svezia, che comincerà tra ormai meno di un mese.
Poi quasi per caso mi sono ritrovato ad essere il Direttore Marketing di un mensile: di nuovo nell'editoria, ma stavolta con un progetto mio, anche se piccino piccino.

Intanto, senza che me ne fossi accorto, stava cominciando l'Estate, quella stagione che tanto temo, anche se l'ultima si era rivelata più che meravigliosa. Ma non questa.
Due settimane fa ho deciso di rinunciare definitivamente alla persona più bella, generosa, affettuosa che c'era nella mia vita. E non solo a lei. Ci ho pensato a lungo, prima di prendere la decisione.
Ma poi l'ho presa. E' stato un gesto crudele, forse, ma sincero. Perché spesso l'affetto quotidiano diventa scontato e l'animo umano finisce con l'essere attratto da qualcosa di nuovo.
Altre volte, invece, come nel mio caso, un affetto lontano, per quanto puro, soccombe alla gentile cordialità quotidiana.
E allora forse la colpa di quanto è accaduto non è solo mia, ma anche di Marc Chagall, Arnaldo Pomodoro e Giuliano Palma. Ognuno di loro ha una parte di responsabilità.
Ci sono volte in cui tutto si incastra alla perfezione, volte in cui con un solo semplice tocco ben calibrato tutte le palle finiscono in buca; altre in cui il destino rema contro, e ci si ritrova doppiamente delusi, a rimpiangere sia ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, sia ciò che era e forse non sarà più.

E quindi eccomi qua, alle prese con un ingombrante sentimento che non è gradito.
Eppure, nella mia infinita presunzione, continuo a essere convinto che la fiducia verso di esso non può che essere ben riposta.
A volte diamo per scontato ciò che fa parte della nostra vita quotidiana, senza pensare che forse se venisse a mancare soffriremmo la sua assenza.
Ecco che, allora, la partenza per la Svezia è l'occasione ideale in questo momento.
I punti interrogativi stanno cominciando a bussare nel mio cervello, e piuttosto che affrontarli ora preferisco fare un passo indietro con la segreta consapevolezza che un aereo probabilmente rappresenterà di nuovo l'inizio della soluzione.

lunedì 23 luglio 2007

Bentornati!

Bentornati di cuore. Davvero. Bentornati a voi, miei cari interlocutori virtuali, che forse avrete avuto la pazienza di stare ad aspettare i capricci di una persona talmente indolente da non aver voluto trovare il tempo per aggiornare il sito che riguarda unicamente lei stessa.

Bentornato a me, infingardo e codardo quanto basta per essermi assentato da qui per quasi due mesi. Potrei accampare ottime ragioni per giustificare ciò: ben 7 esami superati all'università, forse il record di sempre in una sessione estiva; un'impegnativa partenza da preparare, nientedimeno che per le lontane terre lapponi (per la precisione: Karlstad, Svezia); addirittura l'essere diventato Direttore Marketing di un promettente mensile free press dedicato al rutilante mondo del cinema; d'accordo, un mensile che giuridicamente non esiste, ma che riesce a manifestarsi almeno cartaceamente. E credetemi, di questi tempi non è affatto poco.

Potrei, dicevo, ma sarei assai più ipocrita di quanto la mia coscienza e soprattutto il mio personale senso del buon gusto mi autorizzerebbero ad essere. Quindi, non cercherò giustificazioni, ma mi affiderò unicamente al vostro buon cuore; ammesso che la mia assenza informatica sia stata per voi un peso e non magari un sollievo.

Bentornati, infine, Mr. Copeland, Mr. Sumner e Mr. Summers. Era dal lontano 1986 che questi tre arzilli signori, ormai incanutiti, si sono fatti desiderare oltre ogni possibilità umana. Avevo un anno quando suonarono per l'ultima volta insieme, pensate un po'; ed oggi che sono adulto, vaccinato e laureato, dopo che mr. Sumner ha speso negli ultimi anni buona parte del suo fiato per chiarire alla stampa di mezzo mondo che no, non sarebbe mai successo perché non avrebbe avuto senso farlo succedere, dopo che tutti ci eravamo abituati a dover acquistare qualche bel DVD per vederli su un palco, incredibilmente, inaspettatamente, assurdamente, è successo.

Bentornati Police.




Strano vero? A prima vista sembra una foto che arriva dritta dritta dal lontano 1979, magari proprio dal mitico tour americano di Reggatta De Blanc. Torna tutto no? Sting in canottiera che salta esagitato, Andy che suona con tutta l'eleganza e l'aplomb di un gentleman inglese, Stewart che pesta divinamente la batteria con la sua inimitabile foga tutta americana.
E invece no. Perché se guardate bene vi accorgete che questi qua sopra sono i Police del 2007 d.C. Vi accorgete che Mr. Sumner ha ancora la forza di saltare, ma è un po' più stempiato rispetto ai bei tempi di Outlandos D'Amour; che Mr. Copeland continua a far paura quando suona ma si è incanutito ed ha bisogno di un bel paio di occhiali; che Mr. Summers non ha problemi a stare due ore su un palco, ma gli anni passano per tutti, e le rughe che gli solcano la fronte non possono non far ricordare che, in fondo, potrebbe tranquillamente essermi nonno.
Ma che importa? Basta sentirli suonare e sembra davvero di essere tornati a Boston nel 1979.
E' bello sapere che fino alla fine dell'anno questa magia si ripeterà quasi ogni sera.
Bentornati Police. Mi siete mancati.

lunedì 28 maggio 2007

Montecarlo mon amour

Dal lontano 1995, vittoriosa annata in cui mi appassionai irrimediabilmente del variopinto e ruggente mondo della Formula 1, una volta all’anno continuo a chiedermi, al pari di mezzo mondo, chi sia il pazzo che abbia pensato di realizzare, sulle incantevoli ma anguste stradine del Principato, una pista destinata ad ospitare monoposto abituate a sfrecciare, oggi, addirittura a più di 300 Km/h. D’accordo, è vero che nel 1929, quando il GP ebbe luogo la prima volta, le velocità massime superavano di rado i 150 Km/h, ma se vi sembra poco vuol dire che non avete idea di cosa sia la pista di Montecarlo.


Una meravigliosa follia, ecco cos’è Montecarlo. Ma soprattutto meravigliosa. Come si fa a non innamorarsi di una città del genere? Non si può.
A me è bastato passarci all’incirca mezza giornata, sei anni fa, una veloce passeggiata sui 4 Km del tracciato ed un (costoso) caffè sul lungomare, per sentirmi indissolubilmente legato a quella pista. E a quella città. Perché in fondo sono proprio la stessa, identica cosa.
Tra l’altro si può dire che a Montecarlo è come se ci avessi preparato buona parte degli esami di maturità, visto che in quella torrida Estate del 2003 si era rivelato molto più interessante correre due o tre GP al giorno, grazie alla mitica XBox, piuttosto che studiare Demostene e Nietzsche, tanto per fare un esempio a caso.
Avevo del resto già deciso da tempo che la mia quarta casa sarebbe stata un attico a Montecarlo (dopo un appartamento a Trastevere, un quartierino sulle Ramblas ed una villetta strategica a Wellington o giù di lì, sapete com’è, per avere dodici mesi di caldo sfruttando i vantaggi dell’inversione climatica tra i due emisferi).

Un attico a Montecarlo! Ma ci pensate che bello? Fare le riunioni di condominio con Biaggi e Fisichella! Un aperitivino sullo yacht di Flavio e poi alla sera tutti in smoking a fare puntate al Casinò! E una volta all’anno ti vengono pure a correre il Gran Premio sotto casa!
Il massimo! E tutto questo merito di un illustre ma ai più sconosciuto individuo.

Ecco, ieri, in occasione dell’annunciato tripudio McLaren, finalmente ho scoperto che questo tizio non solo si chiama Anthony Noghes, ma addirittura gli è stata intitolata l’ultima curva del tracciato, visto che tra le altre cose è stato anche l’inventore del non meno celebre Rally di Montecarlo.
Che uomo meraviglioso.
E pensare che da anni, ogni volta che percorro la mitica Cristoforo Colombo, penso a quanto sarebbe bello realizzare un circuito cittadino a Roma, niente di meno che all’EUR!


Ci pensate? Rettilineo di partenza sulla Colombo, direzione Roma, subito prima del maxisemaforo che segue l’innesto con la Pontina; si passa accanto alla scultura di Arnaldo Pomodoro, poi salitella verso il Palalottomatica; si scavalca il laghetto, accelerazione bruciante in direzione dell’Obelisco, poi staccatona all’altezza del Pigorini, ottima punto per tentare il sorpasso; un tratto misto vicino al Palazzo delle Esposizioni, poi rettilineo velocissimo che porta proprio sotto al Colosseo Quadrato; chicane da brividi all’altezza del Caffè Casini, poi un’altra maxiaccelerazione su Viale Europa e si riprende la Colombo con un curvone a destra; da lì salitona, si scavalcano di nuovo laghetto e Palalottomatica, poi un bel tornantino a 180 gradi e si ritorna al rettilineo di partenza.

Geniale, no? Ovviamente il tornante porterebbe il mio nome, come è giusto che sia.
Perché visto che tanto l’attico a Montecarlo con tutta probabilità non me lo potrò mai permettere, sarebbe bello almeno poter ricreare un pezzetto di Montecarlo nella mia splendida, adorata Roma.
Se lo conoscete, fate avere mie notizie a Mr. Ecclestone.

lunedì 21 maggio 2007

Il nome dice tutto

Eccoci qua. Visto che una percentuale in costante aumento delle mie variegate conoscenze dispone di un proprio blog, ho deciso di aprirne uno anch'io, forse per la sotterranea ansia di restare fuori da un magma digitale che ha il singolare pregio di permettere di soddisfare, in un sol colpo, velleità tanto voyeuristiche quanto esibizionistiche. Un po' di sano conformismo del resto non ha mai fatto male a nessuno, no?
Ora, immagino che la curiosità non vi possa impedire di chiedervi: perché BassVertigo? Che significa?
Bella domanda. Ma se continuate a chiederlo a voi stessi indubbiamente non otterrete molto, perché l'unico che forse può saperne qualcosa non posso che essere io. Anche se non è poi così sicuro.

Partiamo da dove è giusto partire, ossia dall'inizio: Bass. Chi mi conosceva sa che dal lontano 2000 mi permetto, forse con malcelata presunzione, di suonare il basso elettrico. Chi non mi conosceva lo sa lo stesso, perché l'ho appena detto.
Non so dire perché mai abbia deciso di iniziare a suonarlo, ma in fondo in fondo lo so perfettamente: diavolo, cosa c'è di più fico del suono di uno slap bass? Non c'è assolo di chitarra, non c'è colpo di rullante, non c'è vocalizzo che possa reggere il confronto.

Un basso suonato in slap è groove al 100%, è esibizionismo, è delirio, è trionfo, è monopolio, perché nessun altro musicista può permettersi di schiaffeggiare così il suo strumento per tirare fuori un suono del genere, un suono che esalta, che fa scaldare il sangue, che lascia a bocca aperta chiunque veda un bassista suonare in questo modo. Perché solo un bassista lo può fare, nessun altro.
E questa è tutta la sua forza, perché un suono così si porta dentro tutta la rivincita, la riscossa di uno strumento nato per lavorare in seconda fila, nell'ombra, al servizio degli altri. Eppure così importante. Perché la gente non sa che forma abbia, a cosa serva, persino che suono tiri fuori, ma se manca non può non accorgersene. Perché senza basso è tutto vuoto.
Senza basso anche il miglior solo di chitarra non serve a niente, ed è inevitabile, è giusto che sia così. Perché è una nota di basso l'unica cosa che può dare senso a tutto. La nota, quella nota, che al momento giusto spalanca un universo di sogni al servizio di chiunque.
Ecco perché noi bassisti siamo così pochi. Perché chiunque può passare tutta una vita a scorazzare su e giù per una pentatonica, come ogni buon chitarrista che si rispetti, ma ben pochi avranno il coraggio di prendere un basso, di accettare di fare solo quella nota in quel momento e poi niente più, silenziosi sacerdoti dell'armonia.
Perché suonare il basso è innanzitutto un modo di essere, c'è poco da fare.

Andiamo avanti: Vertigo. Tante cose si chiamano così: un capolavoro di Hitchcock, un bel singolo degli U2, persino un'etichetta inglese di Rock Progressive.
Ma prima di tutto Vertigo è una parola latina che significa, è evidente, "vertigine".
Anche la vertigine è una mia affezionata compagna di vita: potrei affacciarmi in scioltezza da una balaustra sul tetto dell'Himalaya e guardare giù come se niente fosse, ma se mi chiedete di salire in piedi su uno sgabello alto 30 centimetri mi gira la testa.
Perché è il vuoto intorno che mi terrorizza, non l'altezza.
Eccola qui la vertigine: si fa viva quando meno te lo aspetti, quando non ci sono più appigli, non ci sono più appoggi, quando tutto e tutti se ne sono andati via, e rimane solo un insopportabile vuoto intorno. E allora bastano 30 centimetri per precipitare giù dal tetto del mondo, e sprofondare, sprofondare, senza mai arrivare...
Ma forse basta abbassare un po' lo sguardo per vedere che il pavimento è ancora lì, niente si è mosso, in fondo è stato tutto una suggestione, un'illusione, un equivoco.

Abbiamo quasi finito. Proviamo a mettere insieme le due cose adesso:
Bass + Vertigo = BassVertigo. Molto semplice.
La Vertigine che trascina verso il Basso.
Il suono del Basso, talmente bello che dà le Vertigini.

Vedete, non mi sono sbagliato: il nome dice tutto.