venerdì 30 luglio 2010

Note mondiali

A venti giorni dalla fine della Coppa del Mondo la mente è sufficientemente lucida ed il cuore (sportivo, s'intende) sufficientemente rasserenato per riflettere finalmente in modo obiettivo su cosa ci siamo appena lasciati alle spalle, calcisticamente parlando. Ecco quindi una carrellata di considerazioni, nazionale per nazionale.






SPAGNA - Il movimento iberico, è indubbio, ha raggiunto finalmente una straordinaria maturità, che si è tradotta in risultati notevoli. Il ritardo storico rispetto alle altre grandi europee, Italia, Germania e Francia s'intende, ha pesato per diversi decenni, ma la clamorosa doppietta europeo-mondiale in tre anni iscrive a forza il nome della Spagna all'interno del club delle grandi, nel mondo ma soprattutto in Europa.
Va detto però che il successo spagnolo ha davvero poco di spagnolo, per il modo in cui è arrivato: dopo aver rotto le scatole a mezzo pianeta perché nessuna delle squadre che vinceva un grande torneo esprimeva un gioco spettacolare, dopo aver pontificato per decenni riguardo al proprio calcio scoppiettante e votato costantemente all'attacco (ma ahimé mai vincente), contrapposto con malcelata invidia all'arcigno catenaccio nostrano (tetracampione sì ma liquidato come anticalcio), finalmente le Furie Rosse sembrano aver appreso la lezione italotedesca. Se già la finale di Euro 2008 aveva mostrato gli spagnoli chiudersi a gestire il vantaggio dopo il rapace 1-0 di Torres senza più colpire, l'intero percorso mondiale è stato votato al cinismo ed all'opportunismo, a discapito dello spettacolo. Liquidato il girone con più difficoltà del previsto, la regola seguita è stata quella dell'1-0. Con tremende sofferenze, specie contro il Paraguay, sprecone nei quarti, e contro l'Olanda, suicida in finale. Vittorie di misura e di nervi, insomma, tutt'altro che spettacolari, che mi hanno ricordato molto la grande prova di carattere degli azzurri quattro anni fa. La Spagna, insomma, ha avuto la maturità e l'umiltà di capire che per vincere non doveva giocare alla spagnola, ma all'italiana.
Resta una crepa, in questo successo, e cioè proprio l'atteggiamento verso il successo. Ricordando l'autentica esplosione di gioia azzurra in campo dopo il rigore di Grosso, è stato senza dubbio irritante vedere la sufficienza con cui Casillas e compagni hanno festeggiato il trionfo: qualche abbraccio, qualche pacca sulla spalla, e stop. Avevano il diritto, e credo anche il dovere, di lasciarsi andare completamente. Invece hanno minimizzato, forse con la convinzione già acquisita che il titolo spettasse a loro e la pratica fosse solo una formalità. Un atteggiamento molto poco rispettoso per gli avversari e soprattutto per la coppa, in qualche modo svuotata così della sua pagana sacralità. Questa spocchia non aiuterà la Spagna a diventare più simpatica, ed anzi forse le farà montare la testa in modo assai controproducente. Del resto ne abbiamo già viste di storie così, no?






OLANDA - Ogni giorno ringrazio il cielo di non essere olandese. Quella che fino ad un mesetto fa poteva essere considerata semplicemente la sfortuna di una generazione di fuoriclasse, quella dei vari Cruijff, Neeskens, Krol e via dicendo che negli anni settanta riuscirono a perdere due mondiali consecutivi, è stata trasformata dalle ciabattate di Robben in un'autentica maledizione. Tre finali mondiali perse! Chi ha ancora davvero voglia di lamentarsi per lo scivolone del Lippi-bis?
Prima della finale avevo l'impressione che il vero avversario dell'Olanda, che ritengo tuttora un gruppo tecnicamente più competitivo di quello iberico, non fosse la Spagna ma il fantasma del suo passato. Lo stesso Cruijff aveva fatto sagacemente pretattica, dichiarando la Spagna certamente favorita per la finale. Indubbiamente una mossa votata alla scaramanzia estrema, perché chiunque creda un po' nella legge dei grandi numeri non poteva proprio credere che, dopo sei vittorie consecutive, compresa la leggendaria rimonta sul Brasile, sarebbe arrivato il terzo schiaffone. A livello storico, infine, il successo oranje sarebbe stato infinitamente più legittimo, visti i trascorsi di altissimo livello della compagine arancione, rispetto invece ad una Spagna che si presentava imberbe alla sua prima finale, a ben 60 anni di distanza dal suo miglior piazzamento (quarto posto a Brasile 1950), seguito poi praticamente dal nulla, fatti salvi i due titoli continentali. E invece l'Olanda, che pure ha dominato per buona parte la finale, non ha saputo scacciare via del tutto il terrore di non farcela. Imbambolato ed intontito, Robben non è riuscito a mettere a frutto almeno due delle deliziose gemme che periodicamente scaturivano dai piedi di Sneijder. Di contro, il gol subito dall'ottimo Stekelenburg appare terribilmente ordinario, quasi volgare. E così se oggi l'Olanda si guarda un po' intorno, si accorge che tra le grandi o presunte tali è rimasta lei l'unica e sola senza coppa, lei che forse, per quanto ha saputo innovare ed insegnare negli anni, la meriterebbe più di altre.
Resta la sincera gratitudine per aver triturato il Brasile, evitando i rischi di una squadra esacampione. Ma se vogliamo continuare a dar credito alla cabala, allora la sconfitta era nell'aria. E' infatti da 24 anni che chi elimina il Brasile poi non vince la coppa: è capitato alla Francia nell'86, all'Argentina nel '90, di nuovo alla Francia nel 2006 e quest'anno all'Olanda. L'ultima che ci riuscì, 28 anni fa, fu l'Italia.






GERMANIA - Prosegue la prova di grande continuità, con l'undicesimo podio su 17 partecipazioni. E resta pure l'impressione che, con appena un po' più di dedizione, questa squadra sarebbe potuta andare fino in fondo. Il trattamento devastante riservato a due delle avversarie tradizionali, Inghilterra ed Argentina, che si sono viste rifilare 4 gol ciascuna, lasciava l'impressione che la Spagna non avrebbe avuto vita facile. Invece, forse complice lo sforzo di alto livello cui è stata chiamata già a partire dagli ottavi, la gloriosa armata teutonica si è inceppata sul più bello, contro quella che a questo punto è da considerarsi la sua nuova bestia nera, con strascichi anche nella finale per il terzo posto, addomesticata non senza qualche affanno.
Resta la grande prova di carattere, unita alla consapevolezza che la Coppa del Mondo rimane, più ancora dell'europeo, l'ambito in cui questa squadra sa mantenersi perfettamente a suo agio.






URUGUAY - Chi ha parlato di "sorpresa", "rivelazione", "cenerentola", "risultato incredibile" e via dicendo è semplicemente un ignorante. Se fa il giornalista non farebbe male a cercare di cambiare mestiere, ma in ogni caso dovrebbe documentarsi ed informarsi. Perché l'Uruguay, che è stato descritto da alcuni quasi come una pittoresca armata di dilettanti allo sbaraglio, è un pezzo autentico ed ingombrante di storia del calcio, che in bacheca vanta 2 Coppe del Mondo, 2 Olimpiadi e ben 14 Coppe America (laddove il tanto celebrato Brasile ne ha invece conquistate "solo" 8). Va precisato, naturalmente, che ampia parte di questi trofei sono alquanto datati: i titoli mondiali risalgono a 1930 e 1950, quelli olimpici addirittura a 1924 e 1928, 8 Coppe America su 14 risalgono a prima del secondo conflitto mondiale, mentre per rintracciare l'ultimo trofeo in bacheca bisogna tornare al 1995. D'accordo, una nobile se non decaduta quantomeno un po' appannata. Ma pur sempre una nobile.
Complice un girone non impossibile ed un tabellone benevolo, non stupisce dunque ritrovare la Celeste fra le grandi del calcio, con la soddisfazione non da poco di essere la miglior squadra sudamericana al torneo, meglio di Brasile ed Argentina per intenderci. In quello che sembrava un raggruppamento quasi studiato su misura per far passare Francia e Sudafrica, l'Uruguay ha rovinato entrambe le feste, prima strappando un utile pareggio a reti bianche con i transalpini, poi massacrando i padroni di casa con un impietoso 3-0 firmato per due terzi Forlan, infine togliendosi la soddisfazione di battere anche il Messico, di misura con un gol di Suarez, e vincere il girone. Da lì in poi, il grande, grandissimo cuore uruguagio ha fatto la differenza nei momenti che contavano. Prima agli ottavi con la doppietta del solito Suarez, decisivo nello sbloccare il risultato dopo il pareggio sudcoreano, poi soprattutto ai quarti, nell'incredibile sfida col Ghana. Tocca a Forlan, autentico simbolo di questo gruppo, prendersi sulle spalle la squadra dopo il gol di Muntari. Lo fa nel migliore dei modi, insaccando una punizione impossibile. Il finale di partita è già storia. Al 121°, dunque a pochi secondi dai rigori, nel pazzesco batti e ribatti che si scatena nell'area uruguagia, Suarez, ancora lui, è sulla linea di porta e vede chiaramente che la palla sta per entrare. D'istinto si sacrifica, facendo l'unica cosa che va fatta. Un fallo di mano grosso così. Ma sacrosanto. Perché quella palla sarebbe entrata sicuramente, il rigore che ne segue forse no. Ed infatti Gyan, assurdamente, manda la palla sulla traversa, la partita finisce, si va ai rigori, ed il cuore uruguaiano ha di nuovo la meglio. E dopo 40 anni, è di nuovo fra le prime quattro.
La semifinale con l'Olanda è una sfida segnata, ma Forlan non ci sta e pennella un altro dei suoi velenosissimi tiri dalla distanza che il sonnacchioso Stekelenburg si lascia sfuggire. Finisce 3-2 per l'Olanda, ma l'Uruguay esce a testa non alta, altissima. Un po' di sfortuna con la Germania relega la Celeste al quarto posto, ma Forlan fa in tempo a segnare la quinta marcatura personale. Non stupisce, dunque, che vada a lui il titolo il Pallone d'Oro di miglior giocatore del torneo. Uomo squadra, goleador sopraffino, assistman, trascinatore generoso, capitano senza fascia, professionista umile e corretto, legatissimo alla maglia. E, aggiungerei, forse l'unico che è stato in grado di capire come si segna una punizione col Jabulani.






BRASILE - Se questa squadra parte sempre col favore dei pronostici ma ha ottenuto "solo" 5 successi su 19 partecipazioni, un motivo ci sarà. Anche stavolta mi è sembrata, più che un gruppo affiatato, una collezione di primedonne messe assieme a forza. Si sa che questa squadra, quando è in vena, riesce a creare una sinergia di gioco che non lascia scampo ai rivali. Ma se non scatta nulla, le singole giocate di alcuni fuoriclasse possono garantire il primato nel girone ed il passaggio ai quarti contro il modesto Cile, ma niente possono alle prese con una macchina perfetta come l'Olanda. Il successo azzurro del 2006, è noto, dipese in larga parte anche dalla straordinaria coesione del gruppo. Ecco perché Dunga avrebbe dovuto lavorare un po' di meno sul campo ed un po' di più sullo spogliatoio.






ARGENTINA - Ancora una volta il mondiale dell'Albiceleste somiglia più ad una telenovela che ad un torneo di calcio. Dopo lo psicodramma delle qualificazioni, archiviate in una maniera che definire rocambolesca è senza dubbio un eufemismo, la squadra si deve confrontare con l'ingombrantissima ombra del suo CT. Straordinario motivatore ma discutibile selezionatore, oltreché tatticamente impreparato, Maradona, perennemente infagottato nel suo abito da cresima mafiosa, ignora deliberatamente alcuni dei principali protagonisti del triplete nerazzurro, lasciando a casa a guardare il mondiale in ciabatte davanti alla tv due centrocampisti incredibili come Cambiasso e Zanetti, ed impiegando col contagocce un bomber devastante come Milito, preferendo loro gente da prepensionamento come Veron o addirittura Palermo, uno che in Coppa America contro la Colombia, nel lontano 1999, riuscì a sbagliare tre rigori in una partita sola, non so se mi spiego.
Eppure, la tradizionale miscela di genio e sregolatezza argentina sembra funzionare. Nel girone, dopo il timido esordio con la Nigeria, nelle more che Messi si ricordi di essere Messi, ci pensa una sontuosa tripletta di Higuain a schiantare la Corea del Sud, mentre per il gran finale contro la solita sopravvalutatissima Grecia riesce ad andare in gol addirittura l'apparentemente rinato Palermo. In panchina Maradona sbuffa, soffre, suda, sbraita, gioisce, inveisce, sembra insomma vivere ogni momento in perfetto unisono con i suoi ragazzi. La formula sembra funzionare a meraviglia. Di Messi si continuano a non avere notizie, ma bastano (ed avanzano) una doppietta dell'ottimo Tevez ed un sigillo ancora di Higuain per abbattere un Messico non proprio irresistibile. Quando la situazione comincia a farsi interessante ed i dubbi sulle qualità di Maradona iniziano a diradarsi, e cioè in vista del quarto di finale con la Germania, l'Argentina semplicemente si dissolve. Pesano l'inconsistenza difensiva, l'età di molti giocatori, la presunzione di Messi che col Barcellona ha vinto tutto ma in nazionale vaga come uno spettro senza pace. La Germania va giù pesante e quattro mazzate ben assestate spezzano i sogni di Maradona. Ma chi poteva davvero pensare che potesse essere in grado di allenare una nazionale uno che, quando c'era da risolvere la situazione, faceva tutto da solo perché semplicemente non aveva bisogno dell'aiuto dei compagni?






GHANA - Checché ne dica Shakira, non è stata nemmeno questa la volta buona per l'Africa. Se il Sudafrica è riuscito ad entrare negli annali unicamente per il record negativo di essere, nella storia dei mondiali, la prima rappresentativa padrona di casa a venire eliminata al primo turno, con la sola magra consolazione di aver avuto ragione, nella terza partita, di una Francia più che agonizzante, quasi nessuna delle altre ha saputo fare molto di meglio. Quattro punti per la Costa d'Avorio, mai realmente in grado di impensierire Brasile e Portogallo, appena uno per Nigeria ed Algeria, quest'ultima se non altro capace di bloccare sullo 0-0 l'asfittica nazionale inglese, addirittura nessuno per il Camerun. Per non parlare dell'enigma della nazionale egiziana, che ha dominato le ultime tre edizioni di Coppa d'Africa, permettendosi anche di sorprendere gli azzurri in Confederations Cup l'anno scorso, ma da Italia '90 non mette piede ai mondiali.
Unica eccezione il Ghana, capace di districarsi molto bene in un girone insidioso, raccogliendo di fatto il tifo dell'intero continente in quanto unica rappresentativa africana rimasta in gioco nella fase ad eliminazione. Superata un po' a sorpresa la Serbia, con un rigore di Gyan quasi allo scadere, e pareggiato poi il vantaggio australiano grazie ad un altro rigore di Gyan, il Ghana può permettersi di perdere con la Germania, aiutata dal contemporaneo successo dell'Australia sulla Serbia. Più ostica la sfida con gli Stati Uniti, ma a risolvere la partita ai supplementari ci pensa, guarda un po', Gyan.
Il quarto di finale con l'Uruguay è un appuntamento con la storia. Mai infatti un'africana è arrivata in semifinale: nel '90 il Camerun di Milla si dovette arrendere all'Inghilterra dopo essere stato addirittura in vantaggio, nel 2002 il debuttante Senegal fu invece purgato da un golden goal turco. Stavolta le cose sembrano diverse perché al 121°, sul punteggio di 1-1, il Ghana si procura un ineccepibile rigore. A chi affidare il delicato compito, se non allo specialista, nonché capocannoniere? Gyan spiazza Muslera, ma lo fa sparando un missile sulla traversa. Fallita l'incredibile occasione si va ai rigori, ed assurdamente il primo a tirare è proprio Gyan. Che stavolta va a segno, ma non basta perché Muslera ai rigori si esalta e ne para due. L'appuntamento con la storia è rinviato anche stavolta.






INGHILTERRA - Nemmeno la "scandalosa" decisione di affidarsi ad un tecnico straniero, per di più, orrore degli orrori, italiano (!), è servita per fare il salto di qualità. L'Inghilterra, terra di nascita del calcio, tra tutte le nazionali iridate è quella che ha vinto meno: un unico trofeo, un'impolverata Coppa del Mondo vecchia ormai di 44 anni; e poi nulla più. Persino Francia e Spagna hanno una bacheca più ricca, con due europei ciascuna (e la Francia anche un titolo olimpico, se vogliamo dirla tutta). Per curioso che possa sembrare, la nazionale più antica del mondo è anche una di quelle che hanno vinto meno.
Eppure, assolutamente incurante dell'enorme fardello che tutto ciò comporta, Capello si è prodigato, assai poco prudentemente, in proclami strafottenti sui grandi risultati cui avrebbe condotto la squadra. Caricando di aspettative esagerate una nazione di poveracci che hanno vinto l'unica coppa quando ancora si chiamava Coppa Rimet. Poveracci davvero: dopo la papera di Green contro gli USA, lo 0-0 con l'Algeria ed il successo striminzito sulla Slovenia, il primato nel girone è andato agli americani, obbligando l'Inghilterra ad un ottavo suicida con la Germania. Insomma, tutto quello che doveva essere evitato. E sappiamo tutti com'è finita; c'è chi recrimina ancora per il gol fantasma, ma perdere 4-1 o 4-2 che differenza fa?
Il punto è che Capello secondo me si sarebbe dovuto dimettere. Non per la stranita presa con la Germania, ma per non aver saputo evitare di incontrarla vincendo il girone, com'era suo preciso dovere. Anche perché per un inglese vedere la sua nazionale arrivare seconda dietro gli Stati Uniti è troppo. Davvero troppo.






PORTOGALLO - Non pervenuto. Due scialbi 0-0 con Costa d'Avorio e Brasile inframezzati da un esagerato 7-0 con la Corea del Nord, poi un pasticcio nel derby iberico contro una Spagna tutt'altro che irresistibile. Manca completamente la leadership di Cristiano Ronaldo, insopportabilmente arrogante, con l'aria di uno interessato più a fare il modello che a giocare a calcio, e quasi scocciato di dover indossare la fascia di capitano.
Mi manca uno come Luis Figo, un gentiluomo che segnava, faceva segnare e sapeva guidare la squadra in ogni momento senza montarsi mai la testa. E manca tanto anche al Portogallo.






ITALIA - Del tracollo azzurro si è detto e scritto di tutto. Anche troppo, direi. Noi italiani abbiamo il difetto nazionale di umiliarci sempre in maniera esagerata quando le cose non vanno per il verso giusto, esaltando poi gli stranieri quando fanno qualcosa che funziona anche solo un po' meglio di come la facciamo noi. Ma basta dare una rapida occhiata per accorgerci che la storia dei mondiali è piena quanto basta di illustri eliminazioni al primo turno. E' capitato all'Inghilterra nel '58, all'Uruguay nel '62, all'Argentina nel '58 e nel '62, alla Spagna nel '62, nel '66, nel '78 e nel '98, alla Francia nel '66, nel '78, nel 2002 e poi proprio quest'anno, al Portogallo nell'86 e nel 2002, è capitato anche al Brasile del '66 (eh già, proprio quello di Pelè...). Insomma, capita. Non è né una giustificazione né un alibi, ma capita.
Se ancora non siete convinti, lasciate che vi faccia alcune semplici domande. Dov'era l'Argentina nel '54 e nel '70? Dov'era la Francia nel '62, nel '70, nel '74, nel '90 e nel '94? Dov'era l'Inghilterra nel '74, nel '78 e nel '94? Dov'era la Spagna nel '54, nel '70 e nel '74? Dov'era l'Olanda nel '54, nel '62, nel '66, nel '70, nell'82, nell'86 e nel 2002? La risposta è la stessa per tutte le domande, ma nondimeno è sorprendente. Erano tutte a casa, perché non si erano qualificate. Noi invece c'eravamo, perché ci siamo stati praticamente sempre. 17 volte su 19, come la Germania. Solo il Brasile ha saputo fare di meglio. Vi sembrerà poco, a me sembra molto.
Senza fare drammi, quindi, va preso atto del fatto che Lippi è riuscito nella singolare impresa di far disputare all'Italia il suo migliore ed il suo peggiore mondiale. Tant'è, il trionfo del 2006 è un ricordo un po' appannato ma ancora sufficientemente fresco per ripartire da lì, come spirito e mentalità. Gli uomini per (ri)costruire la squadra ci sono, e se ancora non ci sono verranno fuori. Io continuo a credere nella regola dei sei anni. Da Spagna '82 ad oggi, se ci fate caso, l'Italia ha sempre disputato un ottimo torneo ogni sei anni: campione del mondo nell'82, semifinalista europea nell'88, vicecampione del mondo nel '94, vicecampione d'Europa nel 2000, campione del mondo nel 2006. Abbiate fiducia, uscirà fuori qualcosa di buono anche con Prandelli, speriamo proprio quest'europeo che ci manca da un po'.






FRANCIA - Chiudiamo in bellezza con la Francia, in grado (e non era facile) di chiudere il girone con meno punti dell'Italia: 1 a 2. Niente male per due squadre che solo quattro anni fa si giocavano il titolo. Va detto che il girone dei bleus era sulla carta più complicato del nostro, ma a conti fatti risulta davvero difficile aggiungere qualcosa di più su una nazionale che invece di giocare ha passato tutto il tempo a litigare. Con Domenech nei panni di insopportabile demotivatore si è arrivati all'assurdo di vedere la squadra ammutinarsi e rifiutarsi di scendere in campo per l'allenamento. Uno spettacolo raccapricciante, insomma, e senza dubbio meno edificante del nostro. Continuo solo a farmi una domanda, che non avrà, credo, mai risposta. Ma perché Domenech non fu cacciato via già due anni fa?