martedì 6 aprile 2010

Il Presidente era salvo

Il raggio lo colpì di striscio, smaterializzandogli un lembo dell’uniforme. Trovò riparo in una nicchia e si preparò al contrattacco. Sportosi in cerca del nemico, notò con disappunto i suoi gradi bruciacchiati e impolverati al suolo. Accecato dalla rabbia scagliò un masso nell’oscurità, poi ritrovò la freddezza e si acquattò nell’ombra, dove riprese a maledire quella schifosa guerra che da ormai sette cicli devastava il pianeta.
La luce rossa cominciò a lampeggiare nella penombra. Lentamente uscì dal torpore, e si ritrovò disteso nel termogiaciglio, ancora turbato dall’incubo appena concluso, malgrado fosse ormai da tempo abituato a rivivere quasi ogni notte le drammatiche vicende che gli avevano fruttato due ferite, cinque decorazioni al merito, la morte del suo migliore amico ed un decisivo avanzamento di carriera presso lo Stato Maggiore dell’Astronautica Militare Confederata.
Raggiunse a grandi balzi il plasmaschermo, dove si materializzarono all’istante i lineamenti insolitamente accigliati di Ykhskmyr Nadjknjw Pənler III, al suo secondo mandato come Presidente della Giunta Esecutiva Confederata. Detestava in modo genuino la sua mediocrità politica, l’accolita di illustri imbecilli di cui si era circondato, le penose battute con cui tentava di procacciarsi la simpatia dell’opinione pubblica; era peraltro convinto che il disprezzo fosse assolutamente reciproco, ma nondimeno gli si rivolse con il tono che più si addiceva al Comandante Supremo dell’Esercito Confederato: «L’Esercito saluta Sua Eccellenza Ykhskmyr III. Ai Suoi ordini».
Contrariamente alle sue previsioni, il Presidente non rispose con la formula di rito, ma lo fissò severamente: «Non c’è tempo per le formalità, Generale Kkhemz. Mi raggiunga subito all’astroporto militare. A quanto pare non siamo soli nell’universo».
Nessuna traccia della sua abituale strafottenza.
Mentre sfrecciava sull’aviostrada 75, ripensò turbato alle parole del Presidente. Da almeno trecento cicli si erano concluse le missioni esplorative nelle galassie limitrofe, e tutte le sonde avevano dato esito negativo. Adesso, invece, era stato individuato dai rilevatori un oggetto ignoto diretto verso il pianeta. Gli elaboratori ne avevano automaticamente calcolato la rotta, ed avevano stabilito con certezza che doveva essere partito da uno dei nove planetoidi che orbitavano intorno alla stella Elos IX. Possibile che una navicella aliena potesse venire da così lontano? Eppure gli elaboratori non avevano mai sbagliato. Almeno sinora.
Sfrecciò incurante attraversò tre o quattro ologrammi pubblicitari ed approdò nel vasto parcheggio. Fu ricevuto sbrigativamente da Zhhekll Poelh Sehkhs Jhagr V, Comandante dell’astroporto. Un tipo in gamba, che arrivò subito al punto: «Da circa sei cicli teniamo sotto
controllo quest’oggetto, ma non abbiamo mai diffuso la notizia per precauzione. Ora si è inoltrato nella nostra atmosfera e siamo in grado di stabilire con assoluta certezza che si tratta di un veicolo alieno che ospita forme di vita intelligente».
Il Generale lo fissava senza parole. Zhhekll continuò imperturbabile: «E’ evidente che la navicella sta facendo rotta verso il nostro pianeta. Per questo abbiamo ritenuto indispensabile avvertire il Presidente...» l’imbecille, sinora rimasto in silenzio, lo guardò fiero, come se fosse tutto merito suo «...e l’esercito».
Ykhskmyr prese allora la parola: «Il Comandante mi ha informato che la navicella atterrerà sul nostro pianeta tra circa sei frazioni e un terzo. Generale Kkhemz, non potrà che essere lei ad incaricarsi di adottare le misure di sicurezza necessarie».

Mentre si avviava con andatura solenne nella piana afosa, il Generale Kkhemz Ogrjje Bvjwjjkh XI non sapeva se maledire di più gli alieni, che avevano scelto per l’atterraggio una delle regioni più calde del globo, o quell’idiota del Presidente, al suo fianco con il suo solito atteggiamento da protagonista, che aveva rivelato in mondovisione la notizia, attirando sul posto centinaia di giornalisti, cialtroni e sprovveduti. Mentre si avvicinava allo strano razzo, non poté fare a meno di notare che dalla forma sembrava più una confezione termoisolante di minestra Krajhsc che una navicella spaziale; per la verità se l’era immaginato molto più grande. La sua sorpresa crebbe quando si aprì uno sportello alla base del mezzo e ne vennero fuori due piccoli mostriciattoli: quelli erano dunque gli alieni? Osservò il loro modo ridicolo di avanzare e la forma buffa del loro corpo, racchiuso in una specie di armatura metallica, e pensò divertito a chi aveva profetizzato la venuta di esseri giganteschi e sanguinari: non riusciva ad immaginare degli esseri più impacciati ed inoffensivi...
Si irrigidì di colpo: uno degli alieni si era fermato, aveva accostato le due zampe superiori alla sommità della sua tuta e con un gesto insospettabilmente rapido ne aveva staccato la protuberanza superiore, sollevandola. Kkhemz non perse tempo: si trattava certamente di un’arma e lui aveva il preciso dovere di proteggere il Presidente, a qualunque costo. Con un balzo si avventò coraggiosamente sui due invasori, e li rese rapidamente inoffensivi. Si accorse quasi subito di averli uccisi, ma non provò alcun rimorso: era evidente che si trattava di esseri inferiori.
Osservò disgustato il liquido rossastro che ora bagnava le loro armature, fracassate in più punti, ed i loro miseri e squallidi corpi, orribilmente rosei e con appena quattro zampe.
Una per una, abbassò le otto chele, soddisfatto. Anche stavolta aveva fatto il suo dovere. Quell’idiota del Presidente era salvo.