mercoledì 25 luglio 2007

Aerei e punti interrogativi

Non posso farci niente. Ogni volta che arriva l'Estate (quella vera), che gli esami si decidono a dare un po' di tregua, che gli amici uno dopo l'altro se ne tornano a casa per godersi il meritato riposo, inevitabilmente mi sale una discreta ma incontrastabile malinconia. Tempo di riflessioni, di bilanci, e ancor peggio, di confronti. Inevitabili confronti.

Un anno fa, di questi tempi, avevo appena iniziato a godermi il mio notebook nuovo di zecca, frutto di una calda laurea estiva, e mentre mi riprendevo da una piccola ma immensa delusione sentimentale, quasi per scherzo avevo iniziato a pianificare un tranquillo viaggio agostano che non potevo sospettare mi avrebbe cambiato la vita per sempre.

Oggi invece me ne sto a scrivere queste righe davanti al mio amato notebook, che ha avuto un anno di tempo per diventare il fedele depositario delle mie velleità editoriali, delle mie frenesie narrative, delle mie schizofrenie musicali, dei miei silenziosi trionfi a Pro Evolution Soccer, dei miei esperimenti informatici, riuscendoci appieno. Intorno, la consapevolezza di aver iniziato a fare chiarezza nella mia vita, ma anche un'infinità di punti interrogativi che verranno ad affrontarmi, prima o poi, uno dopo l'altro.

Magico 2006! Perché sei finito?
Come faccio a non avere alcun rimpianto per l'Estate più bella della mia vita?

Tutto semplicemente perfetto. A cominciare dall'Italia che stupisce tutti e vince il Mondiale. Che spettacolo! Perché vincere un Mondiale non significa semplicemente guardare in ciabatte sul divano undici italiani che vincono una partita di calcio, ma abbracciare il proprio migliore amico dopo che Grosso ha segnato l'ultimo rigore e poi fare le cinque del mattino suonando il clacson sul Lungotevere con dei perfetti sconosciuti.
E poi appena due giorni dopo mi attendeva la soddisfazione più bella, dopo aver fatto carte false (e non solo metaforicamente...) per poter discutere la tesi a Luglio anziché a Dicembre. E poi la festa più bella, quella con tutte ma proprio tutte le persone a cui volevo bene.
E poi? E poi, su una delle isole più belle che esistano, l'incontro che non mi sarei mai aspettato.
A volte basta uscire di casa per incontrare una persona speciale; altre volte, come nel mio caso, è necessario prendere un aereo e poi avere un po' di fortuna.

E poi arrivava Settembre, il mese che forse preferisco, perché si ritorna alla quotidianità, ci si ritrova dopo la dispersione estiva per un nuovo, lungo anno che è appena all'inizio.
Un Settembre particolarmente generoso, che mi aveva fatto (ri)trovare il lavoro in quella casa editrice che mi era tanto piaciuto, oltre ad un generoso stipendio; indispensabile, visto che di lì a poco sarei diventato cliente abituale della peggior compagnia aerea che esista in Italia.
Ci sono persone che viaggiano per lavoro, altre per studio. Io viaggiavo per amore. Per giunta con una compagnia scalcinata.



Poi è arrivato il 2007. Per un po' lo slancio positivo dell'anno precedente si è fatto sentire. Poi sono arrivate le scelte, e lì mi sono accorto che quel meraviglioso equilibrio che ero riuscito a costruire nella mia vita aveva i giorni contati.
Per prima cosa ho scelto di finire con il lavoro: studiavo poco e lavoravo male. E poi che senso ha chiudersi in un ufficio a 22 anni se c'è tutta la vita per lavorare?
Poi ho raccolto quella sfida che da due anni almeno giaceva in un angolo: il viaggio di studio in Svezia, che comincerà tra ormai meno di un mese.
Poi quasi per caso mi sono ritrovato ad essere il Direttore Marketing di un mensile: di nuovo nell'editoria, ma stavolta con un progetto mio, anche se piccino piccino.

Intanto, senza che me ne fossi accorto, stava cominciando l'Estate, quella stagione che tanto temo, anche se l'ultima si era rivelata più che meravigliosa. Ma non questa.
Due settimane fa ho deciso di rinunciare definitivamente alla persona più bella, generosa, affettuosa che c'era nella mia vita. E non solo a lei. Ci ho pensato a lungo, prima di prendere la decisione.
Ma poi l'ho presa. E' stato un gesto crudele, forse, ma sincero. Perché spesso l'affetto quotidiano diventa scontato e l'animo umano finisce con l'essere attratto da qualcosa di nuovo.
Altre volte, invece, come nel mio caso, un affetto lontano, per quanto puro, soccombe alla gentile cordialità quotidiana.
E allora forse la colpa di quanto è accaduto non è solo mia, ma anche di Marc Chagall, Arnaldo Pomodoro e Giuliano Palma. Ognuno di loro ha una parte di responsabilità.
Ci sono volte in cui tutto si incastra alla perfezione, volte in cui con un solo semplice tocco ben calibrato tutte le palle finiscono in buca; altre in cui il destino rema contro, e ci si ritrova doppiamente delusi, a rimpiangere sia ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, sia ciò che era e forse non sarà più.

E quindi eccomi qua, alle prese con un ingombrante sentimento che non è gradito.
Eppure, nella mia infinita presunzione, continuo a essere convinto che la fiducia verso di esso non può che essere ben riposta.
A volte diamo per scontato ciò che fa parte della nostra vita quotidiana, senza pensare che forse se venisse a mancare soffriremmo la sua assenza.
Ecco che, allora, la partenza per la Svezia è l'occasione ideale in questo momento.
I punti interrogativi stanno cominciando a bussare nel mio cervello, e piuttosto che affrontarli ora preferisco fare un passo indietro con la segreta consapevolezza che un aereo probabilmente rappresenterà di nuovo l'inizio della soluzione.

lunedì 23 luglio 2007

Bentornati!

Bentornati di cuore. Davvero. Bentornati a voi, miei cari interlocutori virtuali, che forse avrete avuto la pazienza di stare ad aspettare i capricci di una persona talmente indolente da non aver voluto trovare il tempo per aggiornare il sito che riguarda unicamente lei stessa.

Bentornato a me, infingardo e codardo quanto basta per essermi assentato da qui per quasi due mesi. Potrei accampare ottime ragioni per giustificare ciò: ben 7 esami superati all'università, forse il record di sempre in una sessione estiva; un'impegnativa partenza da preparare, nientedimeno che per le lontane terre lapponi (per la precisione: Karlstad, Svezia); addirittura l'essere diventato Direttore Marketing di un promettente mensile free press dedicato al rutilante mondo del cinema; d'accordo, un mensile che giuridicamente non esiste, ma che riesce a manifestarsi almeno cartaceamente. E credetemi, di questi tempi non è affatto poco.

Potrei, dicevo, ma sarei assai più ipocrita di quanto la mia coscienza e soprattutto il mio personale senso del buon gusto mi autorizzerebbero ad essere. Quindi, non cercherò giustificazioni, ma mi affiderò unicamente al vostro buon cuore; ammesso che la mia assenza informatica sia stata per voi un peso e non magari un sollievo.

Bentornati, infine, Mr. Copeland, Mr. Sumner e Mr. Summers. Era dal lontano 1986 che questi tre arzilli signori, ormai incanutiti, si sono fatti desiderare oltre ogni possibilità umana. Avevo un anno quando suonarono per l'ultima volta insieme, pensate un po'; ed oggi che sono adulto, vaccinato e laureato, dopo che mr. Sumner ha speso negli ultimi anni buona parte del suo fiato per chiarire alla stampa di mezzo mondo che no, non sarebbe mai successo perché non avrebbe avuto senso farlo succedere, dopo che tutti ci eravamo abituati a dover acquistare qualche bel DVD per vederli su un palco, incredibilmente, inaspettatamente, assurdamente, è successo.

Bentornati Police.




Strano vero? A prima vista sembra una foto che arriva dritta dritta dal lontano 1979, magari proprio dal mitico tour americano di Reggatta De Blanc. Torna tutto no? Sting in canottiera che salta esagitato, Andy che suona con tutta l'eleganza e l'aplomb di un gentleman inglese, Stewart che pesta divinamente la batteria con la sua inimitabile foga tutta americana.
E invece no. Perché se guardate bene vi accorgete che questi qua sopra sono i Police del 2007 d.C. Vi accorgete che Mr. Sumner ha ancora la forza di saltare, ma è un po' più stempiato rispetto ai bei tempi di Outlandos D'Amour; che Mr. Copeland continua a far paura quando suona ma si è incanutito ed ha bisogno di un bel paio di occhiali; che Mr. Summers non ha problemi a stare due ore su un palco, ma gli anni passano per tutti, e le rughe che gli solcano la fronte non possono non far ricordare che, in fondo, potrebbe tranquillamente essermi nonno.
Ma che importa? Basta sentirli suonare e sembra davvero di essere tornati a Boston nel 1979.
E' bello sapere che fino alla fine dell'anno questa magia si ripeterà quasi ogni sera.
Bentornati Police. Mi siete mancati.

lunedì 28 maggio 2007

Montecarlo mon amour

Dal lontano 1995, vittoriosa annata in cui mi appassionai irrimediabilmente del variopinto e ruggente mondo della Formula 1, una volta all’anno continuo a chiedermi, al pari di mezzo mondo, chi sia il pazzo che abbia pensato di realizzare, sulle incantevoli ma anguste stradine del Principato, una pista destinata ad ospitare monoposto abituate a sfrecciare, oggi, addirittura a più di 300 Km/h. D’accordo, è vero che nel 1929, quando il GP ebbe luogo la prima volta, le velocità massime superavano di rado i 150 Km/h, ma se vi sembra poco vuol dire che non avete idea di cosa sia la pista di Montecarlo.


Una meravigliosa follia, ecco cos’è Montecarlo. Ma soprattutto meravigliosa. Come si fa a non innamorarsi di una città del genere? Non si può.
A me è bastato passarci all’incirca mezza giornata, sei anni fa, una veloce passeggiata sui 4 Km del tracciato ed un (costoso) caffè sul lungomare, per sentirmi indissolubilmente legato a quella pista. E a quella città. Perché in fondo sono proprio la stessa, identica cosa.
Tra l’altro si può dire che a Montecarlo è come se ci avessi preparato buona parte degli esami di maturità, visto che in quella torrida Estate del 2003 si era rivelato molto più interessante correre due o tre GP al giorno, grazie alla mitica XBox, piuttosto che studiare Demostene e Nietzsche, tanto per fare un esempio a caso.
Avevo del resto già deciso da tempo che la mia quarta casa sarebbe stata un attico a Montecarlo (dopo un appartamento a Trastevere, un quartierino sulle Ramblas ed una villetta strategica a Wellington o giù di lì, sapete com’è, per avere dodici mesi di caldo sfruttando i vantaggi dell’inversione climatica tra i due emisferi).

Un attico a Montecarlo! Ma ci pensate che bello? Fare le riunioni di condominio con Biaggi e Fisichella! Un aperitivino sullo yacht di Flavio e poi alla sera tutti in smoking a fare puntate al Casinò! E una volta all’anno ti vengono pure a correre il Gran Premio sotto casa!
Il massimo! E tutto questo merito di un illustre ma ai più sconosciuto individuo.

Ecco, ieri, in occasione dell’annunciato tripudio McLaren, finalmente ho scoperto che questo tizio non solo si chiama Anthony Noghes, ma addirittura gli è stata intitolata l’ultima curva del tracciato, visto che tra le altre cose è stato anche l’inventore del non meno celebre Rally di Montecarlo.
Che uomo meraviglioso.
E pensare che da anni, ogni volta che percorro la mitica Cristoforo Colombo, penso a quanto sarebbe bello realizzare un circuito cittadino a Roma, niente di meno che all’EUR!


Ci pensate? Rettilineo di partenza sulla Colombo, direzione Roma, subito prima del maxisemaforo che segue l’innesto con la Pontina; si passa accanto alla scultura di Arnaldo Pomodoro, poi salitella verso il Palalottomatica; si scavalca il laghetto, accelerazione bruciante in direzione dell’Obelisco, poi staccatona all’altezza del Pigorini, ottima punto per tentare il sorpasso; un tratto misto vicino al Palazzo delle Esposizioni, poi rettilineo velocissimo che porta proprio sotto al Colosseo Quadrato; chicane da brividi all’altezza del Caffè Casini, poi un’altra maxiaccelerazione su Viale Europa e si riprende la Colombo con un curvone a destra; da lì salitona, si scavalcano di nuovo laghetto e Palalottomatica, poi un bel tornantino a 180 gradi e si ritorna al rettilineo di partenza.

Geniale, no? Ovviamente il tornante porterebbe il mio nome, come è giusto che sia.
Perché visto che tanto l’attico a Montecarlo con tutta probabilità non me lo potrò mai permettere, sarebbe bello almeno poter ricreare un pezzetto di Montecarlo nella mia splendida, adorata Roma.
Se lo conoscete, fate avere mie notizie a Mr. Ecclestone.

lunedì 21 maggio 2007

Il nome dice tutto

Eccoci qua. Visto che una percentuale in costante aumento delle mie variegate conoscenze dispone di un proprio blog, ho deciso di aprirne uno anch'io, forse per la sotterranea ansia di restare fuori da un magma digitale che ha il singolare pregio di permettere di soddisfare, in un sol colpo, velleità tanto voyeuristiche quanto esibizionistiche. Un po' di sano conformismo del resto non ha mai fatto male a nessuno, no?
Ora, immagino che la curiosità non vi possa impedire di chiedervi: perché BassVertigo? Che significa?
Bella domanda. Ma se continuate a chiederlo a voi stessi indubbiamente non otterrete molto, perché l'unico che forse può saperne qualcosa non posso che essere io. Anche se non è poi così sicuro.

Partiamo da dove è giusto partire, ossia dall'inizio: Bass. Chi mi conosceva sa che dal lontano 2000 mi permetto, forse con malcelata presunzione, di suonare il basso elettrico. Chi non mi conosceva lo sa lo stesso, perché l'ho appena detto.
Non so dire perché mai abbia deciso di iniziare a suonarlo, ma in fondo in fondo lo so perfettamente: diavolo, cosa c'è di più fico del suono di uno slap bass? Non c'è assolo di chitarra, non c'è colpo di rullante, non c'è vocalizzo che possa reggere il confronto.

Un basso suonato in slap è groove al 100%, è esibizionismo, è delirio, è trionfo, è monopolio, perché nessun altro musicista può permettersi di schiaffeggiare così il suo strumento per tirare fuori un suono del genere, un suono che esalta, che fa scaldare il sangue, che lascia a bocca aperta chiunque veda un bassista suonare in questo modo. Perché solo un bassista lo può fare, nessun altro.
E questa è tutta la sua forza, perché un suono così si porta dentro tutta la rivincita, la riscossa di uno strumento nato per lavorare in seconda fila, nell'ombra, al servizio degli altri. Eppure così importante. Perché la gente non sa che forma abbia, a cosa serva, persino che suono tiri fuori, ma se manca non può non accorgersene. Perché senza basso è tutto vuoto.
Senza basso anche il miglior solo di chitarra non serve a niente, ed è inevitabile, è giusto che sia così. Perché è una nota di basso l'unica cosa che può dare senso a tutto. La nota, quella nota, che al momento giusto spalanca un universo di sogni al servizio di chiunque.
Ecco perché noi bassisti siamo così pochi. Perché chiunque può passare tutta una vita a scorazzare su e giù per una pentatonica, come ogni buon chitarrista che si rispetti, ma ben pochi avranno il coraggio di prendere un basso, di accettare di fare solo quella nota in quel momento e poi niente più, silenziosi sacerdoti dell'armonia.
Perché suonare il basso è innanzitutto un modo di essere, c'è poco da fare.

Andiamo avanti: Vertigo. Tante cose si chiamano così: un capolavoro di Hitchcock, un bel singolo degli U2, persino un'etichetta inglese di Rock Progressive.
Ma prima di tutto Vertigo è una parola latina che significa, è evidente, "vertigine".
Anche la vertigine è una mia affezionata compagna di vita: potrei affacciarmi in scioltezza da una balaustra sul tetto dell'Himalaya e guardare giù come se niente fosse, ma se mi chiedete di salire in piedi su uno sgabello alto 30 centimetri mi gira la testa.
Perché è il vuoto intorno che mi terrorizza, non l'altezza.
Eccola qui la vertigine: si fa viva quando meno te lo aspetti, quando non ci sono più appigli, non ci sono più appoggi, quando tutto e tutti se ne sono andati via, e rimane solo un insopportabile vuoto intorno. E allora bastano 30 centimetri per precipitare giù dal tetto del mondo, e sprofondare, sprofondare, senza mai arrivare...
Ma forse basta abbassare un po' lo sguardo per vedere che il pavimento è ancora lì, niente si è mosso, in fondo è stato tutto una suggestione, un'illusione, un equivoco.

Abbiamo quasi finito. Proviamo a mettere insieme le due cose adesso:
Bass + Vertigo = BassVertigo. Molto semplice.
La Vertigine che trascina verso il Basso.
Il suono del Basso, talmente bello che dà le Vertigini.

Vedete, non mi sono sbagliato: il nome dice tutto.