venerdì 30 novembre 2007

La questione olandese - Breve saggio di sociologia interculturale

Tra la moltitudine di popoli in cui ho avuto occasione di imbattermi, gli olandesi certamente hanno delle caratteristiche che li rendono davvero particolari.
Diversamente, ad esempio, dagli spagnoli, perennemente in isterica oscillazione tra chiassosa festosità e noiosa apatia, dai francesi, pedantemente stilosi e acidamente leali, dai tedeschi, fieramente autoreferenziali ma tendenzialmente aperti e rispettosi, dagli italiani, ridondanti di sé stessi eppure solitamente generosi oltre il dovuto, gli olandesi sembrano sposare, almeno a prima vista, quella certa riservatezza tipicamente continentale con un'insospettabile affabilità, derivante probabilmente dal loro essere, in fin dei conti, un popolo di mare.
Sofisticati ma alla mano, se si volesse cercare di descriverli in poche parole.

Tuttavia, come tutte le prime impressioni anche questa finisce presto col rivelarsi, se non errata, per lo meno alquanto incompleta.
Perché in effetti quando si parla di olandesi si corre il rischio di generalizzare, mentre invece è di vitale importanza distinguere tra GLI olandesi e LE olandesi.



GLI olandesi sono generalmente delle persone di notevole fiducia. Contrariamente al pregiudizo comune, sono persone assai discrete e rispettose degli spazi ma comunque generose e disposte ad aiutare se viene richiesto il loro supporto. Forse poco inclini ad organizzare eventi e situazioni in prima persona, essi si lasciano comunque coinvolgere ben volentieri in iniziative altrui e risultano di solito di buona compagnia. Generalmente persone educate e con le quali è relativamente facile condividere gli spazi, talvolta sorprendono persino con piccole premure e gentilezze gradite. Il fatto di vivere in un paese piccino e piuttosto avanzato sul piano organizzativo e gestionale, per di più collocato nel cuore dell'Europa, li rende persone scevre da pregiudizi macroscopici e discreti fautori di un costruttivo europeismo.
Tutto questo, precisando che si tratta comunque di impressioni personali raccolte su un numero alquanto esiguo di olandesi, li rende di fatto persone piuttosto gradevoli, con alcune delle quali non è un'esagerazione scomodare il termine "amicizia".

LE olandesi si presentano in maniera davvero simile. Il primo impatto è, solitamente, una piacevole chiacchierata di una ventina di minuti che si conclude in maniera molto amichevole, magari con i due famosi bacetti sulle guance che in Olanda indicano più intimità che in Italia, dove di solito due bacetti non si rifiutano neanche ad una persona conosciuta la sera stessa.
Se però una mattina incontrate all'università quella graziosa olandesina con cui la sera prima durante la festa avete chiacchierato e ridacchiato in maniera sincera e spensierata e vi avvicinate sorridendo per salutarla con i due famosi bacetti che in Italia, come si è detto, non si rifiutano mai, vi accorgerete che lei resterà impalata scoraggiando il vostro tentativo, vi saluterà distrattamente e continuerà a fare quello che stava facendo prima, apparentemente del tutto disinteressata ad avviare la benché minima conversazione.
Allo stesso modo è perfettamente possibile che, durante un'altra festa, essa non vi risponda minimamente quando le passate davanti salutandola cordialmente, ma mezzora dopo venga a darvi un sensuale bacio, sulla guancia ovviamente, perché avete appena messo la sua canzone preferita (che di solito è un orribile brano techno-house in tedesco). In pratica è come se essa mostrasse, alternativamente ed imprevedibilmente, due volti completamente opposti, l'uno affabile ed amichevole, l'altro scostante ed altezzoso.

Dopo un'approfondita analisi sociologica posso affermare con certezza che questo singolare comportamento è da ritenersi tipico della donna olandese, e solo suo, in quanto riscontrato in tutte, ma proprio tutte, le olandesi che ho conosciuto e, viceversa, in nessun'altra donna che non sia olandese.
La motivazione di tale bizzarro comportamento deriva semplicemente dal fatto che le olandesi, di base, se la tirano come più non si potrebbe.
Ed hanno di che tirarsela. Altroché. Il destino beffardo ha voluto schiaffare tutte le migliori olandesi in un edificio collocato all'esatto capo opposto della città rispetto al campus, situazione che rende il contatto con esse ristretto praticamente ai soli esclusivi party organizzati, di solito, una volta a settimana. Tacitamente, si ritiene riuscito il party organizzato al campus se vi prende parte anche la compilation di bellezze oranje al completo: vuol dire che il tema della serata era abbastanza accattivante da invogliarle ad attraversare tutta la città per parteciparvi, anziché spostarsi di appena un paio di chilometri per andare in una discoteca in centro. Se questo non accade, si ha sempre di sottofondo la sgradevole sensazione che la festa non sia perfettamente riuscita.

Se si considera che, oltre ad essere davvero affascinanti, queste donne sono anche grandi bevitrici (non vedrete mai un'olandese ad una festa senza una lattina di birra in mano), è facile arrivare alla conclusione che almeno mezza Europa, nel vero senso della parola, ci proverà con qualcuna di loro durante la serata.
Infastidite e lusingate allo stesso tempo, queste graziose fanciulle si divertiranno nel lanciare segnali contraddittori ai malcapitati che ronzeranno loro intorno, mostrandosi per l'appunto prima affabili e poi scostanti. La loro viscerale diffidenza le porterà ad evitare accuratamente il maschio mediterraneo: e così, una volta relegato il povero italiano nell'angolo della stanza a fare il DJ in una sorta di amaro "promoveatur ut amoveatur" ed evitato come la peste il marpione iberico di turno, rivolgeranno le movenze sexy del loro bacino all'indirizzo di etnie continentali.

Nulla ha fatto notizia, Venerdì scorso, come il bacio in mezzo alla pista di una di loro (deliziosa bionda alta 1.80, tipico esempio di bellezza oranje) con il tedesco di turno: respiri trattenuti, stupore diffuso e persino diverse foto scattate per immortalare la scena, giacché pochi sapevano che era da poco tornata single.
La novità getta un certo scompiglio; non stupisce quindi che, l'altro ieri, in occasione di una festicciola infrasettimanale, sia partito l'approccio esplicito da parte di un francese, peraltro con metodologie alquanto innovative che vale la pena di analizzare dettagliatamente.

Com'è noto, alle olandesi piace bere, e non poco. Il francese decide di sfruttare questo potenziale punto debole per rendere più vulnerabili le reticenze della stangona, e le propone subito un'intrigante scommessa: chi fa prima a bere un bicchiere di vino rosso tutto d'un fiato è autorizzato a dare 10 ceffoni all'altro, come e quando vorrà. Va detto, per dovere di cronaca, che il vino in questione era il famigerato Castillo De Gredos, micidiale vino spagnolo in cartone tragicamente simile, per sapore e retrogusto, ad una partita di aceto scaduto vecchia di 13 anni, fattore che aumenta ulteriormente la difficoltà della sfida. La competizione termina al fotofinish, con vittoria finale assegnata d'ufficio all'olandese, che si riserva il diritto di schiaffeggiare l'avversario in un secondo momento.
Ormai ubriachi fradici, i due iniziano ad inseguirsi per tutto il corridoio tirandosi pezzi di torta all'ananas (il che è un bene, perché la torta in questione è davvero immangiabile, malgrado sia senz'altro eticamente discutibile il fatto di giocare con del cibo), peraltro assiduamente ripresi dal sottoscritto in uno dei video più significativi da quando si trova qui.
Terminate le ostilità non senza danni (lui ha inalato ananas attraverso le narici, lei ha crema ovunque nei capelli), il francese decide bene di rinfrancarsi con una banana ristoratrice.

Scatta subito la nuova sfida: se lui non mangerà anche tutta la buccia (!), lei potrà dargli altri 10 schiaffoni. Lui ci pensa un po' e rilancia: se mangerà la buccia potrà baciarla 10 volte. Lei accetta, a condizione che mangi la buccia in soli 3 bocconi.
Lui ci pensa ancora un po', e alla fine cade nella trappola: mangia tutta la buccia senza fare una piega.
Tralasciando il fatto che una buccia di banana è probabilmente uno dei cibi meno salutari che ci siano (vuoi per la composizione della stessa, vuoi per la collezione pressoché completa di microbi e batteri che la popolano), la buccia di banana, per fortuna almeno priva di picciolo, ha un impatto devastante sullo stomaco del transalpino, che passa almeno mezzora a ingurgitare acqua per facilitarne l'assimilazione, arrivando quasi a rischiare la squalifica da parte dell'inflessibile olandese.
Quando di lì a poco quest'ultima, conclusa la festa, infila il cappotto per tornare a casa, con le residue forze lui si presenta boccheggiando per reclamare il primo dei baci pattuiti. Lei acconsente, e i due si lanciano in un'appassionata slinguazzata internazionale davanti agli occhi meravigliati degli astanti, che in fondo non credevano sarebbe successo veramente.

L'indomani, cioè ieri sera, ci si ritrova tutti felicemente in discoteca, poiché come saprete il Giovedì gli studenti entrano gratis: mancano però proprio loro, le olandesi, che poche ore dopo partiranno alla volta di Helsinki. Soltanto lei, di ritorno dallo stadio dell'hockey, passa a fare un saluto rapido, senza neanche togliersi la giacca.
Come da copione, lui si avvicina per salutarla.
Come da copione, lei lo tratta con sufficienza e quasi non gli rivolge la parola. Di baci, neanche a parlarne. Di lì a poco se ne torna a casa.
A questo punto lui, sempre più disorientato, pensa bene di mandarle un messaggio ma si sbaglia e, per un assai oscuro motivo, lo manda a me (!). Il messaggio recita: "Hey, mi dispiace che sei andata via. Fai buon viaggio in Finlandia. Un bacio" (NdA: il testo è stato tradotto dall'inglese per facilitarne la comprensione al lettore medio).
Senza dubbio il peggior messaggio da mandare in una situazione del genere, più che mai se lei è olandese.

Chiaramente, per correttezza l'ho avvisato dell'errore riguardo all'invio del messaggio. Non ci è dato sapere, per il momento, come andrà avanti questa storia.
Quasi sicuramente, però, lui si starà ancora riprendendo dall'intossicazione alimentare, e quasi sicuramente quel bacio galeotto avrà scatenato in lui un temporale ormonale che lo porterà a svendere nuovamente la sua dignità di uomo non appena si presenterà l'occasione.
Lei invece con tutta probabilità se ne starà ora spaparanzata in una camera d'albergo finlandese a ridere a crepapelle con le altre olandesi di quel deficiente che due sere prima pur di baciarla si è mangiato un'intera buccia di banana.
Cornuto e mazziato.

giovedì 15 novembre 2007

Questa pazza, pazza Danimarca...

Per uno strano scherzo del destino, malgrado il nostro italiano si trovi in Svezia da tre mesi, le vicende della sua ultima settimana sono legate a doppio filo alla Danimarca. Andiamo con ordine.


E' ormai tempo di ritorni, i primi. La settimana scorsa la truppa degli italiani si è ridotta da 4 a 3 unità, a causa del rientro nel Belpaese di una campobassana che aveva giustappunto finito la parte estera della sua tesi. La settimana attuale invece è l'ultima per l'unico croato della situazione, il quale pensa bene di invitare i tre italiani superstiti a trascorrere un commovente weekend d'addio in quel di Copenhagen. E così, pronti via, i quattro affittano una Fiesta e se ne partono bel belli alla volta del regno di Margherita II.
Il viaggio si articola in quattro tappe: Karlstad-Goteborg (guida l'altro italiano); pasto frugale; Goteborg-Helsingborg (guida il croato); Helsingborg-Helsingor, a bordo di un costosissimo traghetto. L'ultima tappa, Helsingor-Copenhagen in notturna, tocca giustappunto al nostro italiano, poiché a causa di una presunta discriminazione sessista verrà difatto impedito all'unica ragazza presente di guidare durante il viaggio di andata.

Dopo aver fatto infuriare come un caimano il danese che regola il traffico in uscita dal traghetto con una manovra errata ma in fondo innocua, il nostro si ritrova alle prese con una sensazione stranissima: quella di guidare, dopo più di un mese dall'ultima volta, una macchina che non conosce affatto, in un paese in cui non è mai stato prima, senza sapere nemmeno dove andare di preciso.
Eh già, perché a causa di un inspiegabile malinteso i quattro furbacchioni si sono in pratica dimenticati di prenotare un posto dove dormire. In mancanza di una meta precisa, si decide di tirare dritto per dritto fino a quando non si incontrerà un ufficio informazioni per turisti.
La strategia ovviamente è totalmente folle, e difatti non stupisce che i quattro vaghino assolutamente a caso per la città per almeno una mezzora buona, prima di trovare finalmente, e assolutamente fortuitamente, l'agognato ufficio turistico. Che è ovviamente chiuso, visto che dopo le sei del pomeriggio qualsiasi forma di attività in Scandinavia si paralizza improrogabilmente.
Le peregrinazioni riprendono finché grazie al cielo i quattro si imbattono in un maestoso (e costosissimo) ostello, che ha almeno il pregio di essere in pieno centro.
La serata prevede un tour gastronomico per fast food (Burger King e KFC, per la precisione) e una furtiva passeggiata per il centro, prima che il torpore sopraggiunga ed i quattro amici decidano unanimemente di buttarsi sotto le pezze.

L'indomani, alzatisi di buon'ora, li attende la colazione più costosa della loro vita: circa 7 €uro per un cappuccino ed un fagottino al cioccolato. A quanto pare esiste al mondo un paese al cui confronto anche la costosa Svezia sembra avere prezzi stracciati: si chiama Danimarca.
Il Sabato consiste, ovviamente, in una micidiale passeggiata per il centro della città, stupenda e zeppa di meraviglie architettoniche, con una doverosa visita al monumento più sopravvalutato d'Europa: la statua della Sirenetta.


Sarà che i nostri sono abituati ad essere circondati ogni giorno da un patrimonio artistico che non ha eguali al mondo, ma resta davvero difficile capire come mai il simbolo di una città bellissima e ricca di edifici magnifici sia una piccola statua di bronzo, neanche troppo raffinata, per di più collocata in una zona relativamente decentrata della città.
A pranzo i quattro optano per un ristorantino italiano affacciato sul graziosissimo porto della città, ma appena seduti e aperto il menù scoprono con orrore che i prezzi sono davvero troppo, troppo alti. Mettendo da parte ogni minimo residuo di educazione decidono semplicemente di fuggire, per fortuna non visti dal proprietario. Si rifugeranno in una tipica trattoria danese poco distante per un pranzo a base di pesce, comunque costosetto.

Il pomeriggio prevede la visita alla famigerata Christiania, il controverso quartiere hippy di Copenhagen. Volendo trovare un paragone, si potrebbe azzardare che grossomodo Christiania sta a Copenhagen come lo scalo San Lorenzo sta a Roma: si tratta cioè esattamente del tipico quartiere che il nostro italiano detesta spontaneamente con tutto il cuore.
Dopo una sosta tattica, che farà da spunto per due ore di pennichella a quattro di spade sul letto, i nostri eroi tornano in azione per una nuova passeggiata serale.
La cena è caratterizzata da una curiosa sensazione di deja-vu: adocchiato un invitante ristorante cinese, i nostri entrano, scelgono il tavolo migliore, aprono il menu, si accorgono che i prezzi sono ancora più alti di quelli del ristorante italiano e, senza fare una piega, si alzano e se ne vanno, sotto lo sguardo incredulo del personale. Due volte nello stesso giorno, incredibile ma vero.
La Domenica è caratterizzata da un paio di delusioni: dopo aver sfamato le papere del laghetto con del Toblerone (in mancanza d'altro...), i nostri provano prima a dedicarsi invano allo shopping nel caratteristico quartiere di Norrebro, dove ovviamente tutti i negozi sono chiusi, poi ad andare a vedere il celebre ponte di Malmo. Ma la strada non si trova, e alla fine spazientiti decidono di mettersi in marcia per tornare a Karlstad.
Al nostro italiano Copenhagen è proprio piaciuta, ed anzi ad occhio e croce si direbbe proprio che la Danimarca abbia qualcosa in più della Svezia, almeno esteticamente parlando.

Tornato alle ordinarie incombenze dopo la microvacanza, il nostro italiano è atteso dalla prima relazione per il nuovo corso che sta seguendo, "Sweden and Scandinavia in a European perspective". Si tratta di rispondere a tre quesiti riguardanti il rapporto tra i paesi del Nord Europa e l'Unione Europea.
La prima domanda è una riflessione personale sulla compatibilità tra UE ed il controverso Consiglio Nordico, consorzio internazionale attivo dal 1952 di cui fanno parte Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia ed Islanda. Non osava sperare di meglio: da europeista convinto quale è, si lancia in un accorato pamphlet di tre pagine incentrato sulla necessità che Norvegia ed Islanda entrino nell'Unione Europea.
La seconda domanda riguarda la presunta fine e possibili ipotesi per la sopravvivenza del Consiglio Nordico all'indomani, o forse ormai dopodomani, della fine della Guerra Fredda. Fattibile.
Ma è la terza domanda che ha dell'agghiacciante. E' richiesta una valutazione della politica estera nel biennio 2005/2006 indovinate di chi?
Della Danimarca. Ovvio.

Il nostro è perplesso. Non è ovviamente un esperto di politica internazionale, e malgrado abbia letto con attenzione ed interesse tutte le letture assegnate non ha molte idee in proposito. Ma gli sono rimaste solo un paio d'ore di tempo per terminare la relazione prima che inizi la lezione.
Così scatta l' "operazione creatività". Poiché sembra francamente impossibile applicare i modelli teorici studiati alla situazione da analizzare, si procede con il cercare di interpretare i fatti nella maniera più innovativa possibile, nella speranza di avvicinarsi a dire qualcosa di almeno parzialmente plausibile.
Così, partendo dallo spunto che la Danimarca è contemporanemante membro di ONU, NATO, Unione Europea e Consiglio Nordico (in pratica tutto ciò di cui può essere membro), tutte le azioni di politica estera danese vengono interpretate dal nostro italiano come un tentativo di mantenersi in equilibrio tra i ruoli molto diversi attesi dalla partecipazione a queste quattro associazioni che, com'è noto, hanno spesso interessi contrastanti.
In quest'ottica, il celebre incidente diplomatico con il mondo islamico avvenuto nel Settembre 2005 a causa della vignette offensive su Maometto sarebbe da interpretare come l'inevitabile prezzo che la Danimarca ha dovuto pagare per aver cercato di tenere il piede in 4 staffe contemporaneamente.
Tanto basta per arrivare a stiracchiare una paginetta di risposta.
E poi chissà, magari qualcosa di plausibile c'è davvero!

mercoledì 7 novembre 2007

(S)HIT PARADE: le 10 cose più stupide che ho fatto da quando sono in Svezia

1) Aver offerto da bere ad una fiamminga (chiaramente non mi riferisco ad un vassoio, ma ad una donna);
2) Aver ordinato ingenuamente il primo giorno un caffè senza sapere che la mia idea di caffè era tragicamente molto, molto diversa da quella degli svedesi;
3) Aver cantato "La società dei Magnaccioni" a squarciagola durante la serata inaugurale dell'Erasmus, in rappresentanza della tradizione musicale nostrana;
4) Aver cercato senza successo di ubriacarmi bevendo un'intera bottiglia di Baileys in poco più di un'ora (le cause dell'insuccesso rimangono avvolte nel più assoluto mistero);
5) Aver tenuto il computer acceso per oltre 72 ore consecutive al solo fine di scaricare tutte le serie dei Simpson;
6) Aver dato un fazzoletto con sopra scritto il mio numero sempre alla fiamminga (la quale dichiarerà in seguito di non sapere che fine abbia fatto quel fazzoletto);
7) Aver passato una notte in bianco per un innocuo halva gruppen;
8) Aver organizzato la Coppa del Mondo di Pro Evolution Soccer 6, mandando una mail informativa a tutti e 170 gli studenti stranieri;
9) Aver invitato a cena una tedesca già impegnata con uno svedese;
10) Aver prenotato l'andata con RyanAir.

lunedì 15 ottobre 2007

L'incredibile favola di Steven Bradbury

Le Olimpiadi Invernali di Salt Lake City 2002 furono le terze ed ultime per Steven Bradbury, misconosciuto pattinatore australiano, ventinovenne e quindi ormai anzianotto, che in dodici anni di carriera aveva centrato solo un terzo posto nella staffetta 5000m ai giochi di Lillehammer '94, e poco più. Un palmares scarno, che in otto anni lo aveva lentamente trasformato da grande promessa dello short track ad outsider, stimato e rispettato, ma pur sempre outsider, destinato quindi a chiudere la carriera con l'ultima onorevole presenza ai Giochi.

Non c'è da meravigliarsi quindi che il pronostico lo desse per sfavorito già ai quarti di finale. E così fu: Bradbury agguantò il terzo posto all'ultima curva, però solo i primi due passavano il turno.
Ma evidentemente quello era il suo giorno fortunato: il canadese Marc Gagnon, giunto primo, venne squalificato per una scorrettezza e Bradbury ripescato d'ufficio per le semifinali. Ancora non sapeva che i suoi giorni più fortunati dovevano ancora arrivare.

In semifinale il cammino era ovviamente ancora più difficile. Partito maluccio, Bradbury rimase in fondo per tutta la gara. Alla penultima curva divenne quarto per via di una caduta, ma per arrivare in finale serviva una specie di miracolo. Che puntualmente arrivò: all'ultima curva, mentre il primo filava indisturbato verso il traguardo, il secondo ed il terzo si ostacolarono a tal punto da cadere entrambi, spalancando a Bradbury le porte della sua prima finale olimpica individuale.

Ma in finale non c'era storia. Il titolo era già prenotato dal fortissimo Ohno, che oltre ad essere il più talentuoso aveva anche il vantaggio di giocare in casa; al doppiamente miracolato Bradbury spettava semplicemente di fare da comprimario per chiudere decorosamente, con una finale olimpica, la carriera da professionista. E difatti ancora una volta, complice una pessima partenza, il povero australiano si era ritrovato immediatamente ultimo. Ad una tornata dalla fine il suo imbarazzante svantaggio era di circa mezzo giro.
Davanti invece, la battaglia per la vittoria era serratissima: ancora una volta sarebbe stata l'ultima curva a decidere. Ma in un modo che nessuno si sarebbe aspettato.
Ohno sferrò una gomitata talmente forte da far cadere uno degli avversari, che lo trascinò tuttavia giù con sé innescando un'improvvisa carambola. Nel giro di due secondi erano tutti caduti a terra; tutti tranne il serafico Bradbury, che ebbe tempo a sufficienza per scavalcare tutti gli avversari in un sol colpo solo e cogliere indisturbato il primo oro della sua carriera, diventando inoltre il primo campione olimpico invernale proveniente dall'emisfero Sud.
L'intera spassosa vicenda è stata raccontata dalla mitica Gialappa's in un esilarante video.



Sembra una vittoria figlia esclusivamente della fortuna, in qualche modo da sminuire. Ma in fondo Bradbury non aveva dimostrato di essere stato comunque in qualche modo il più meritevole, per il semplice fatto di essere stato, a conti fatti, l'unico ad essere arrivato ogni volta al traguardo senza cadere né essere scorretto?
A saperne un po' di più, si scopre che non c'è poi molto da ridere. Perché Steven Bradbury era stato fino a quel momento molto sfortunato. Esageratamente sfortunato. Addirittura aveva rischiato di morire in due gravissimi infortuni. In una caduta durante i mondiali del 1994 rimase ferito ad un'arteria femorale dalla lama di un pattino, perse 4 litri di sangue, ricevette 111 punti di sutura e fu costretto ad una riabilitazione di 18 mesi prima di ritornare a pattinare. Nel 2000, invece, durante un allenamento cadde fratturandosi il collo e fu costretto a rimanere immobile per ben 6 settimane. Questo spiega perché la grande promessa dello short track australiano non si fosse mai consacrata.

Ecco, forse, perché voleva esserci a tutti i costi a Salt Lake, per congedarsi con onore da uno sport a cui aveva dedicato la sua vita e che gli aveva restituito indietro pochissimo.
Ed ecco anche perché la storia della sua vittoria, oltre ad essere indubbiamente divertentissima, è anche bellissima. E' come se il destino avesse deciso di sdebitarsi tutt'a un tratto negli istanti decisivi, dopo averlo fatto tanto ed a lungo soffrire.
Una bellissima storia di onestà, perseveranza, tenacia, orgoglio, rispetto, passione e dedizione, superbamente ripagate con la massima soddisfazione che un uomo di sport possa ottenere. E poi il grande stile di non tornare sulle proprie scelte, ritirandosi dall'agonismo come campione olimpico, con grande eleganza.
Grande Steven Bradbury. Una storia capace di far ridere e commuovere nello stesso momento non può che essere una grande storia.

mercoledì 10 ottobre 2007

Non sparate sul DJ!

Approfittando del blitz a Roma, il nostro italiano si è riportato su in Svezia un bel po' di cose assolutamente indispensabili per la propria sopravvivenza: ad esempio strumentazione tecnicoscientifica di altà qualità, come la PlayStation Portable oppure i due joystick indispensabili per dare vita alla Coppa del Mondo di Pro Evolution Soccer 6, e ancora nostalgici lasciti della patria di nuovo abbandonata, ovvero lo storico bandierone tricolore acquistato all'indomani di Italia-Bulgaria, vittoriosa semifinale di Usa '94, che oggi, dopo essere stato protagonista del trionfo mondiale della scorsa Estate, campeggia orgogliosamente sulla parete della sua cameretta svedese, un po' sdrucito e smandrappato dal passare del tempo e dai gioiosi sventolamenti di ben 13 anni.
In mezzo ai libri, alle magliette da calcio, ai maglioni, alle sue adorate polo, ai 750g di caffè hanno trovato posto anche due curiosi oggetti, archiviati sotto la ben nota categoria "Non si sa mai, potrebbe sempre servire!": una scheda audio esterna ed un paio di bretelle. Due oggetti assolutamente indispensabili per chi va a studiare 4 mesi all'estero, tra l'altro.

Eppure, egli non avrebbe mai creduto che, incredibilmente, sarebbero tornati assai utili addirittura il primo Venerdì successivo al suo ritorno. Eh già, perché il Venerdì in questione scatta niente di meno che l' "Eighties Party", ennesimo scatenato festone a tema dedicato ai nostalgici anni '80: ovviamente, abbigliamento e musica dovranno essere adeguati alla circostanza.
Come sempre egli si presenta in splendida forma, con il suo inseparabile cappellino grigio e appunto le famose bretelle (un orribile regalo di una cara amica di sua madre, risalente a quando aveva circa dieci anni, indossato quella sera per la prima volta in vita sua) che, a detta di molti, gli danno un tocco irresistibilmente eighties. Non pago, si mette a chiacchierare con il DJ brasiliano della serata il quale lo invita a mettere la musica insieme a lui, visto che il nostro, tra le tante cose, si trastulla da almeno quattro anni con ogni possibile tipo di software musicale. Così egli se ne va bel bello a prendere il suo notebook (che è zeppo, fra le tante cose, anche di classici anni '80) e la sua scheda audio esterna, che di lì a poco si rivela indispensabile per connettere entrambi i computer all'impianto stereo.


Il nuovo inatteso ruolo di DJ precipita il nostro italiano in un inaspettato vortice di popolarità; per tutta la serata vienne assillato da una moltitudine di persone ubriache intente a porgli le richieste più strane: b-sides dei Clash, la colonna sonora di Grease, improbabili gruppi hip-hop tedeschi, addirittura computer music in stile Kraftwerk; il tutto, sempre e solo anni '80. Ovviamente ciascuno di loro rimane molto deluso dai desolati rifiuti che riceve. Ma lui rimane lì, incurante di tutto, a fare il suo lavoro.
Anche le ragazze ora lo guardano in maniera diversa. La frigida finlandese, ad esempio, lo ricompensa con un appassionato bacio sulla guancia per aver messo "Material Girl" di Madonna, da lei tanto richiesta. Inoltre, la famosa fiamminga conosciuta nei primi giorni, che dopo la galeotta birra offertale si era sempre tenuta un po' a distanza, lo avvicina entusiasta per chiedergli il numero ed invitarlo a fare il DJ ai nuovi esclusivi party in programmazione. Addirittura egli riesce nell'impresa di invitare a cena un'affascinante bavarese, che di lì a poco scoprirà essere nella short list delle donne più desiderate di tutto il campus.
Dopo aver rischiato il linciaggio per aver messo prima i Bee Gees, attribuiti dai puristi ai soli anni '70, e successivamente Bob Sinclair, snobbato dai più integralisti al grido di "Only music from the eighties, please!", il nostro fa ritorno felicemente sotto le pezze, stanco ma assai soddisfatto.

Alzatosi con comodo, il giorno dopo viene subito invitato dai suoi amici spagnoli ad una partita a pallone. Appena giunti, si contano e con stupore scoprono di essere appena in 4. Si decide così di coinvolgere nella partita anche alcuni simpaticissimi ragazzini di origine iraniana incontrati al campo. Scartata la suggestiva ipotesi di una sfida Spagna-Iran under 10, attraente ma indubbiamente alquanto iniqua, si decide di giocare a ranghi misti. Ma la sfida non decolla: dopo che il nostro italiano porta in vantaggio la sua squadra con un impossibile diagonale a porta sguarnita, l'infortunio di un norvegese viene preso a pretesto per sospendere la partita. Gli iraniani si disperdono delusi ed i tre superstiti si ritrovano malinconicamente a tirare calci di rigore.

Tornato a casa amareggiato, egli si getta subito nella preparazione della cena. Con un'agghiacciante puntualità la stupenda bavarese si presenta alle 19.00 e 2 secondi, spaccando il millesimo di secondo e cogliendolo alquanto di sorpresa. La cena si rivela alla fine alquanto frugale, poiché nessuno dei due sembra avere molta fame: il menu comprende rigatoni con pesto e gamberetti, piatto forte del nostro sedicente chef, insalata verde gentilmente offerta dalla bavarese per ricambiare l'ospitalità ed un corroborante espresso Danesi (ormai mi sono disabituato a chiamarlo caffè!). Dopo le consuete banali chiacchiere, la meravigliosa teutonica si volatilizza con la consueta rapidità spiegando che aveva già preso altri impegni, lasciando il nostro povero italiano con numerosi interrogativi riguardo all'enigmaticità dei suoi comportamenti.
Ma in men che non si dica piove su di lui da parte del brasiliano un altro invito per una scatenata festa. Festa che in verità si rivela alquanto squallida se confrontata con la precedente, visto che di fatto quasi nessuno balla, ma ci si limita solo ad ascoltare. Se non altro, l'assenza di vincoli tematici lascia libero il ritrovato DJ di propinare al pubblico ciò che preferisce, e così stavolta Bob Sinclair viene accolto con piacere.

Terminata la serata, il nostro italiano all'estero si ritrova con alcuni amici per una rilassante spaghettata notturna (come sempre, il compito di cucinare viene per qualche strano motivo assegnato agli italiani...). Il clima conviviale viene interrotto dalle gioiose urla di alcuni svedesi, stranamente ubriachi, fermamente intenzionati a gettare da un balcone del primo piano il loro televisore irreparabilmente scassato. Ne segue una gustosa litigata, tutta in svedese, tra i favorevoli ed i contrari al lancio; la spuntano questi ultimi, dopo aver minacciato di chiamare la polizia. Il lancio viene annullato, ma le polemiche non si fermano: rispunta anche la bavarese che, assai delusa per aver dovuto rinunciare ad assistere al lancio, per farsi consolare si rifugia tra le braccia di uno dei lanciatori, che effettivamente si rivelerà essere il suo tipo.
Tutto questo confonde ancor di più le idee del nostro povero italiano. E' possibile stare con una persona ed accettare l'invito a cena di un'altra? Un invito a cena non dovrebbe essere di solito un segnale abbastanza esplicito? Possibile che sia più compromettente offrire una birra ad una belga piuttosto che offrire una cena ad una tedesca? O forse ogni paese ha differenti convenzioni sociali e schemi comportamentali?
Di una cosa è sicuro. Ha odiato la bavarese con tutto il cuore per averlo costretto a cenare alle 7 di sera.

lunedì 1 ottobre 2007

Lettera d'amore

Hai visto? Non ti ho mentito, sono venuto veramente a trovarti per qualche giorno. Anche se sono già dovuto ripartire, non puoi capire quanto sono stato felice di poter trascorrere un po' di tempo con te. Lo sai che ti adoro, mi sei mancata tantissimo da quando sono fuori.
Sei sempre stupenda, lo sai? Ti ho ritrovata meravigliosa esattamente come ti avevo lasciato. Sei troppo bella, anche se la mattina sei sempre di fretta, sempre di corsa, e a volte mi tratti pure male. Certi lunedì mattina sei proprio antipatica, sai?
Però la sera sei diversa. Indossi sempre il tuo vestito migliore, sei simpatica, affettuosa, romantica, divertente, imprevedibile, nonostante mi sembri di conoscerti da sempre; sei sempre più bella. E poi nessuna potrebbe cucinare così bene come te!
Ti giuro sono troppo innamorato di te. So che mi mancherai, fino a Natale, ma so che sarà ancora più bello ritrovarti. Ti amo.

Ti amo, Roma.